1+1 = MONDO

Durante questi mesi non abbiamo fatto che altro che portarvi con noi nell’approfondimento di temi toccati dall’Agenda 2030.
Come per tutti i percorsi, arriva l’ultimo capitolo, che per noi non significa la fine di un viaggio, ma la conclusione di una prima tappa, alla quale siamo giunti insieme e, ci auguriamo, più consapevoli.
La collaborazione è da sempre fondamentale all’interno di un gruppo, in questo caso di una redazione, e in un periodo storico come quello che stiamo vivendo è, probabilmente, stata ancora più necessaria per la nascita, e riuscita, di questo progetto.
Nonostante le distanze, la collaborazione è stata punto fermo, cardine, nella costruzione di piccoli mattoni di quella che è, e sarà, SecopLAB.

Ed è proprio così, che giungono a conclusione gli obiettivi dell’Agenda 2030.

L’SDG 17 per uno sviluppo sostenibile afferma di dover rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile, che significa partenariati tra governi e società, collaborazioni inclusive per il raggiungimento di obiettivi condivisi e necessari per l’intero Pianeta.
Ciascun Paese si dovrà impegnare nel reindirizzare i propri fondi, investendo, soprattutto, nei paesi in via di sviluppo, nel settore energetico, in infrastrutture e trasporti, informazione e comunicazione.
Aspirare ad un mondo totalmente equo resta probabilmente utopico, ma la richiesta che quindi viene fatta è di muoversi, quanto più possibile, a sostegno di questa causa a livello locale, nazionale ed internazionale, mettendo al primo posto chi si trova in difficoltà, sensibilizzando ogni singolo cittadino del Mondo e sfruttando l’impegno di tutti per raggiungere un nuovo equilibrio.

Prendendo in considerazione alcuni dati:

  • I fondi per l’assistenza allo sviluppo nel 2014 hanno raggiunto i 135,2 miliardi di dollari, il livello più alto;
  • il 79% delle importazioni da Paesi in via di sviluppo entra nei confini dei paesi sviluppati esenti da dazi;
  • nei Paesi in via di sviluppo, il peso del debito resta a circa il 3% delle entrate legate alle esportazioni;
  • in Africa, il numero degli utenti di Internet e quasi duplicato in quattro anni;
  • Il 30% dei giovani nel mondo sono “nativi digitali” attivi da almeno cinque anni;
  • tuttavia, sono almeno 4 miliardi coloro a non poter usufruire di questo servizio: il 90% risiede in regioni dei Paesi in via di sviluppo

Ma quindi, cosa viene richiesto per raggiungere nuovi traguardi?

Finanza

In ambito finanziario si richiede di aiutare paesi meno agiati ad aumentare la loro capacità fiscale interna, mobilitando risorse economiche, e permettendo di sostenere debiti a lungo termine attraverso finanziamenti, riduzioni e ristrutturazioni del debito, alleggerendone, così, il peso.
Inoltre, lo 0.7% del reddito nazionale lordo di paesi industrializzati dovrà essere destinato in aiuti pubblici per lo sviluppo (APS/RNL), così come i fornitori mondiali di aiuto pubblico, saranno sollecitati a fornire almeno lo 0.20% del loro reddito in APS/RNL a Paesi meno sviluppati.
Il rapporto tra entrate fiscali e Pil è, nel 2018, il 31% a livello globale, con Europa e America del Nord in testa per capacità fiscale interna e riscossione, da parte della Amministrazioni Pubbliche, delle entrate.

In Italia, nel 2019 le entrate delle AP si sono riconosciute nel 42,4% del PIL, una quota in costante crescita anche nell’ultimo anno.Nonostante questo, l’ASP destinato a paesi bisognosi, anche se in aumento, non è abbastanza per i target 2030 previsti: l’Italia si colloca al di sotto del contributo medio del DAC (Comitato per l’Aiuto allo sviluppo).

Tecnologia

Nel 2021, così come per gli anni precedenti, la Tecnologia si conferma risorsa essenziale per garantire un corretto sviluppo. Un vero e proprio diritto umano.
Per questo motivo, l’obiettivo da raggiungere è riuscire a promuovere crescita, scambio e diffusione di tecnologie in tutti quei paesi che al momento si trovano un passo, ma anche due, indietro rispetto a “noi”. 
Ma non solo.
Queste tecnologie, infatti, dovranno agire nel rispetto dell’ambiente e a condizioni favorevoli per il paese che ne usufruirà, rafforzando la cooperazione internazionale e favorendo l’accesso a scoperte scientifiche, innovazioni, permettendo una miglior condivisione di conoscenze, grazie a modalità stabilite e concordate tra i meccanismi già esistenti come le Nazioni Unite.
La trasformazione digitale è alla base dell’evoluzione di un paese, che sia economica o sociale, strumento di informazione, conoscenza o inclusione, deve essere garantita.
Nonostante il rapido progresso degli ultimi anni, è quasi paradossale pensare che solo una percentuale della popolazione riesca ad accedervi.
Possiamo considerare l’Italia un paese abbastanza al “passo con i tempi”: nel 2019 circa il 74,7% delle famiglie disponeva di una connessione a banda larga, così come molte imprese hanno, nello stesso anno, digitalizzato i propri sistemi di gestione.L’ultimo periodo è risultato, però, una fase di stazionamento, con un rallentamento nello sviluppo, ma soprattutto dove ancora si è parlato di divari territoriali, con evidenti dati contrastanti tra settentrione e meridione, ovviamente a svantaggio di quest’ultimo.

Che questi obiettivi siano o meno raggiunti entro il 2030, è ancora difficile da dirsi, nonostante i ritardi siano già evidenti, ma che sia 2030 o 2040 è evidente che abbiamo bisogno di raggiungerli.

Non esiste Futuro se qualcuno viene lasciate indietro.

Non esiste Evoluzione se l’uno continuerà a prevalere sull’altro.

Fonti

Città sostenibili: nel Paese delle Meraviglie

L’Evoluzione

Tornando indietro nel tempo ed osservando la nostra storia, l’uomo da nomade è diventato sedentario per assecondare i propri bisogni, occupando sempre più luoghi e definendo confini, permettendo alla crescente popolazione un posto sicuro dove trascorrere la propria vita.
Ad un certo punto del processo, si è arrivati all’incremento di spazi destinati alle abitazioni, in un ambiente sempre più ristretto: le persone aumentavano, mentre la Terra sembrava rimpicciolirsi. 
Ed è proprio qui che l’esigenza è divenuta costruire non più soltanto in orizzontale, bensì in verticale, permettendo a più persone di vivere in uno stesso spazio di terreno, semplicemente le une sopra le altre.

Secondo i dati pubblicati dal Centro Regionale di informazione delle Nazioni Unite, ad oggi sono 3,5 miliardi le persone che vivono in città, stimando che nel 2030 il 60% della popolazione mondiale abiterà in aree urbane, sfruttando soprattutto le zone dei paesi in via di sviluppo.

Ma cosa significa abitare in un luogo che sia resiliente e sostenibile, oltre che sicuro?

L’undicesimo obiettivo dell’Agenda 2030 propone di rendere le città e gli insediamenti umani, inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.

Abbiamo alle comunicazioni Istat, nel 2018 si è registrato un particolare aumento nei casi di famiglie costrette a vivere in abitazioni sovraffollate (27,8%), situazioni che generano, come principale conseguenza, l’incremento di costruzioni ed occupazioni abusive.
Il traguardo diviene, quindi, quello di poter garantire l’accesso ad abitazioni e servizi di base adeguati e sicuri, necessari per lo sviluppo di città sostenibili.
In Italia, si scontrano con questa dura realtà il 15,5% delle famiglie, uno tra i dati più alti nei Paesi dell’Unione Europea, al pari della Grecia, con al seguito Slovacchia, Polonia, Croazia, Bulgaria ed infine Romania, la percentuale più preoccupante: 46,3% (Istat “Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia”).

Trasporti accessibili

Parlare di città sostenibili significa non solo fare riferimento alle percentuali di inquinamento presenti, assicurando una giusta salvaguardia per la salute delle persone, ma anche garantire al singolo la possibilità di spostarsi facilmente per poter raggiungere luoghi di studio e lavoro: la mobilità sul territorio come argomento cruciale per la sostenibilità urbana.
Scegliere mezzi di trasporto pubblici al posto dei propri può avere un importante impatto positivo sul tasso d’inquinamento, ma che voi siate pendolari o meno, sicuramente sarete a conoscenza dello stress che comporta questa tipologia di spostamento.
È necessario investire in questo presente, migliorando i nostri sistemi pubblici non solo in progettazione e velocità, ma soprattutto rendendoli accessibili.Grazie alle indagini Istat, emerge che tali mezzi non vengono utilizzati più per difficoltà dicollegamento che per scelta personale, una difficoltà che in Campania interessa la metà delle famiglie presenti nella regione (55,9%), con impatto ancora più significativo nei piccoli comuni del nostro Paese: un’incidenza del 49,2% rispetto al 28% rappresentativo delle aree metropolitane.

Inquinamento dell’aria

L’Agenzia europea per l’ambiente ci parla di circa 80 mila morti premature, nel 2016, come conseguenza ad una prolungata esposizione a polvere sottili.
Grandi concentrazioni di persone nelle città, significa anche essere soggetti ad un aumento dell’inquinamento dell’aria, derivante non solo da mezzi di trasporto, ma anche da tutto ciò che costituisce una area urbana e le permette di rimanere in vita.
L’aria che respiriamo viene costantemente monitorata da centraline che, raccogliendo le informazioni, ci aggiornano sul superamento dei limiti stabiliti dalla legge.
L’Europa, all’inizio del nuovo secolo, era riuscita a porre un freno all’incremento di questi valori, arrivando a livelli minimi, mai raggiunti, e riuscendo a mantenerli col passare degli anni.
Nel 2017 alcuni Paesi non sono più riusciti a controllare e assicurare questo aspetto, regredendo e, in alcuni casi, peggiorando rispetto allo stadio di partenza.
Tra questi Paesi vi rientra l’Italia.

Gestione dei rifiuti

La gestione dei rifiuti non risulta mai totalmente trasparente e per questo assume una posizione prioritaria nell’amministrazione delle città.
Grazie alle innovazioni tecnologiche e ad una maggior consapevolezza del singolo, le campagne a promozione della raccolta differenziata, e del recupero per il riciclo, portano dal 2006 dati di miglioramento in termini di quote di rifiuti conferiti in discarica.
Nel 2018 tali rifiuti ammontano a 6.5 milioni di tonnellate: solo un quinto rispetto al totale dei prodotti.
Inoltre, è importante evidenziare che le diverse regioni presentano situazioni ben diverse tra loro, dovendo anche tener conto dei flussi di scarti in entrata ed uscita da queste.Molise, Liguria e Marche manifestano un particolare incremento poiché, soprattutto il Molise, è responsabile per lo smaltimento del 47% di rifiuti provenienti da altre regioni, mentre alcune diminuzioni si riscontrano in Basilicata, Sardegna Piemonte (Istat “Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia”).


Tra aspetti migliorati e migliorabili, l’undicesimo obiettivo ha ancora molti piani da studiare e progetti da approvare per potersi sentire più vicino alle nuove comunità nascenti: per loro, speriamo in vicini di casa meno rumorosi.

Tra distruzione e salvezza

Le due facce della soia

Circa cinquemila anni fa veniva coltivata per la prima volta in Cina il “Ta Teou”, letteralmente “grande fagiolo”, una tra le cinque piante sacre per l’Impero cinese.
In seguito alla sua esportazione nell’800, in America ed Europa, la soia avrebbe conosciuto il più grande impiego mai esistito per un semplice legume, in tutto il mondo. Una semplice legume che da sempre si è saputo distinguere, grazie alla sua interessante duttilità, tanto da vederne la trasformazione in svariati prodotti: da latte a yogurt, da farina a sostituti della carne, fino alla sua trasformazione in cera.

Ma cosa si nasconde dietro la sua produzione?

È possibile che sia ritenuto responsabile di gran parte dell’inquinamento globale?

Lo sfruttamento nella produzione della Soia

Dalla sua scoperta fino ad oggi, la così grande richiesta di soia e la sua larga coltivazione hanno portato a catastrofiche conseguenze.

Come sempre, l’uomo non ha mezze misure: o tutto o niente.
È proprio seguendo questa politica di pensiero, e ovviamente di mercato, che l’uomo non ha potuto non sfruttarne la coltivazione, ottenendo con una minima spesa, una massima resa.
Dal 2000 ad oggi la produzione di soia si può dire raddoppiata, raggiungendo i 210 milioni di tonnellate prodotte. Ciò ha comportato la conversione di vari terreni in luoghi adatti alla sua coltivazione.

Se nel 1995, 18 milioni erano gli ettari destinati a questa pratica nel Sudamerica, nel 2005 ne sono risultati necessari 40 milioni: tutto in soli dieci anni.

Un esempio è la foresta Atlantica situata tra Brasile, Argentina e Paraguay, che nel giro di 40 anni si è ridotta al 7% rispetto allo stato iniziale, oppure nel Cerrado, dove la Savana Brasiliana,  ad oggi è stata attestata solo al 20% rispetto ai 200 milioni di ettari che la caratterizzavano in principio.

Nell’ articolo “Salute e benessere” abbiamo visto come, per soddisfare i bisogni e le esigenze di pochi, molti sono coloro obbligati a piegarsi e farsi schiavi del Sistema.

Nei principali Paesi produttori come Brasile, Argentina e USA, la produzione di questo legume è causa di squilibri sociali, economici ed ecologici.

Chi finanzia la produzione si ritrova tra le mani una miniera d’oro, ma a quale prezzo?

Mentre qualcuno si arricchisce, qualcun altro perde tutto. Quest’ultimi sono denominati i “ Senza Terra”.

Con la creazione di nuovi campi vengono, di fatto, violati i diritti essenziali di famiglie, di comunità indigene e di piccole attività; senza contare che, molto spesso, a queste persone non viene richiesto di mettersi a servizio della catena di produzione.

Grazie alla tecnologia e all’alto grado di meccanizzazione, a svolgere la maggior parte dei processi sono le macchine, in tal modo per 170/200 ettari di terreno, risulta necessario un solo lavoratore. Rimangono, quindi, disponibili i lavori stagionali, i cui sinonimi sono sfruttamento e retribuzione irrisoria, se non, addirittura, casi di lavoro forzato.

Tra OGM e Qualità

Il nostro Paese si è sempre distinto per una particolare attenzione alla tutela della qualità dei prodotti.
Proprio per questo motivo, l’Italia può essere considerata a tutti gli effetti un Paese OGM-free, il che significa che non possono essere modificati, in alcun modo, i geni delle materie prime per poterne aumentare le proprietà o la produzione. Dovremmo essere fieri della nostra qualità, tanto che, forse un giorno, arriveremo anche ad avere soia con certificazione di qualità.

Dotare la soia di un marchio di qualità significa avere a disposizione un disciplinare nel quale sono contenuti tutti i passaggi per la sua produzione: una lente d’ingrandimento per fare chiarezza sul prodotto che stiamo consumando.

Eppure è proprio qui che si pone il problema.

Non produrre OGM significa anche non riuscire a sopperire alla domanda, e molto spesso ne consegue l’utilizzo di materie prime proveniente da altri Paesi, per i quali questa qualità non può essere generalmente attestata.

La domanda di soia è in costante aumento e quella prodotta in Italia è troppo poca per soddisfare questa esigenza.

The Butterfly Effect

Da grande consumatrice di prodotti derivanti dalla soia, spesso capita di ritrovarmi al centro di dibattiti in cui mi si mostrano gli effetti della sua produzione.
Ovviamente, questi dati non vengono mai approfonditi e, in questo modo,  si rischia di non riuscire a sensibilizzare laddove necessario. 

Facendo riferimento ad una produzione globale, l’85% della soia prodotta è destinata all’alimentazione animale, mentre solo il 6% al nostro consumo.
È, quindi, importante considerare anche che il particolare incremento di consumo di carne, in questi ultimi anni ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo mercato e, di conseguenza, nello sviluppo dello sfruttamento e dell’inquinamento.
All’interno di questo discorso potremmo inserirci altre particolari considerazioni sulle coltivazioni di diversi cereali, come ad esempio il mais: anche questo è destinato per l’85% al consumo animale, per il 10% alla produzione di energia ed infine, solo il 5% per la nostra alimentazione.

Povertà e malnutrizione sono da sempre presenti nella nostra storia, ma se prima non c’erano le risorse materiali necessarie, oggi, che queste risorse sono concrete e in abbondanza, decidiamo consapevolmente di precluderne il consumo ad un’importante fetta della popolazione globale.

Ancora una volta dimostriamo di inneggiare alla fratellanza, ma indossando la maschera del nemico.

Ancora una volta decidiamo di distruggere, piuttosto che salvare.