Il Maestro e Margherita: il capolavoro di Bulgakov non è mai stato così attuale.

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È passato quasi un secolo dalla prima redazione de Il Maestro e Margherita e oggi un nuovo Diavolo, dalle parti di Mosca, sta portando avanti una campagna di censura e disinformazione, atta a tenere allo scuro il popolo russo riguardo le manovre, le modalità e gli esiti della guerra in Ucraina. Se già prima del conflitto contro Kiev la libertà di stampa in Russia era alquanto limitata, con l’inizio della guerra Putin ha dato ulteriori colpi alla libertà di espressione. Il parallelismo con Stalin e le continue censure di inizio secolo viene quasi naturale. Per i temi trattati, per i personaggi, e per l’iter che portò alla luce uno dei capolavori della letteratura russa, partorito dalla magistrale penna di Michail Bulgakov (ironia della sorte natio di Kiev), esso non è mai stato così attuale. In questi giorni bui trovo appropriato ricordare questo grande romanzo.

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Immagine della cattedrale di San Basilio in Piazza Rossa, a Mosca.

Storia di un romanzo sul Diavolo, sull’amore e sulla libertà.

La storia della letteratura è cosparsa di grandi opere che hanno tracciato il cammino dell’umanità, portandone alla luce gli elementi più nascosti, dando vita a emozioni che si sono trasformate in personaggi diventati immortali. Ci sono libri che hanno lasciato una cicatrice talmente profonda da ridefinire la nostra stessa percezione del mondo, della storia e, talvolta, di noi stessi. 

La prima volta che ho letto Il Maestro e Margherita ne sono rimasto accecato tanto era forte la luce che emanava. La potenza espressiva dei personaggi folgora il lettore e, nonostante siano molti e con nomi impronunciabili (come ogni grande romanzo russo), nessuno di questi è possibile che venga dimenticato. Il romanzo è ambientato nella Mosca degli anni ’20 e degli anni ‘30, luogo che Bulgakov conosceva e aveva vissuto a pieno, tanto da riportarne una perfetta topografia attraverso minuziose descrizioni. Mosca però rappresenta solo uno dei due piani narrativi dove si svolge la vicenda: dalla capitale si viene trasportati a Gerusalemme ai tempi della crocifissione, scenario inoltre del romanzo a cui per tutta la vita lavora il Maestro e di cui non vedrà mai la pubblicazione. Un libro dentro al libro quindi, due differenti piani narrativi che si intrecciano e che alla fine convergono congiungendo i personaggi protagonisti delle due storie.

La religione rappresenta uno dei cardini della narrazione, anche se la Chiesa non viene mai nominata; il misticismo ed il culto dell’oscuro la fanno da padrone fin dalle prime pagine, il rapporto dell’uomo con Dio assume un ruolo fondamentale. Il male, il Diavolo, rappresenta Stalin e il regime oppressore, con il quale Bulgakov si scontra per tutta la vita, prima cercando di integrarvisi, in seguito cercando di combatterlo sfruttando la forza delle proprie opere. In vita non riuscirà mai nell’impresa, ma attraverso le pagine del romanzo egli si vendicherà di tutti, da Stalin e la cerchia dei letterati post-rivoluzionari, colpevoli di opportunismo e di servilismo nei confronti del regime, fino ad arrivare al teatro sovietico. Attraverso la satira Bulgakov si fa beffa di tutti coloro che in vita avevano cercato di sabotarlo, il mondo che i cinque diavoli protagonisti incontrano è quello della Mosca che lo scrittore odia: una città opportunista, burocratica e conformista.

Ogni personaggio ha un destino legato al desiderio di rivincita di Bulgakov e molti sono i riferimenti alla vita dello scrittore stesso: i letterati vengono resi folli dall’incontro con Woland, lo sventurato Berlioz addirittura viene decapitato nel terzo capitolo, in seguito alla profezia dello stregone; Margherita, appena divenuta strega, come prima mossa decide di vendicarsi con il critico Latunskij che aveva distrutto la carriera del Maestro, volando verso il suo appartamento e devastandolo; il Maestro crede che il grande romanzo a cui lavorava da tutta la vita sia andato bruciato, il grande libro su Ponzio Pilato è invece sopravvissuto e Woland glielo riconsegna in uno dei passaggi più iconici del libro (Bulgakov aveva infatti deciso di bruciare una delle prime stesure del libro insieme ad altre opere, in seguito alle persecuzioni della polizia sovietica).

“I manoscritti non bruciano”, “Dire la verità è bello e piacevole”, “Non ha meritato la luce, ha meritato la pace”, tutte queste frasi sono esempi della capacità di Bulgakov di coniare espressioni simboliche, talvolta paradossali, che hanno conferito al romanzo un’iconicità tale da trasformarlo in oggetto di culto vero e proprio; molte di queste frasi, infatti, vennero continuamente riprodotte come dei graffiti sulle pareti delle scale che portano all’appartamento n. 50 della casa al n. 10 della Bol’šaja Sadovaja, dove Bulgakov aveva vissuto, che è diventato vero luogo di culto per gli amanti del libro.

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Immagine dell’appartamento n. 50 della casa al n.10 della Bol’saja Sadovaja. Tra il 1983 e il 1986, negli anni precedenti alla perestrojka, molte delle frasi più celebri del libro vennero incise, insieme a disegni che ritraevano i personaggi come graffiti, sulle pareti delle scale che portano all’appartamento. La polizia ha spesso riverniciato quei muri, ma le scritte sono tornate. (Credits Immagine https://xerosignal2.wordpress.com/2012/01/30/bolsaja-sadovaja-n-10/)

Il Maestro e Margherita è dunque un romanzo sul Diavolo, il quale è protagonista assoluto, appare in varie forme e devasta letteralmente la vita degli abitanti di Mosca, punendo tutti gli individui colpevoli di arrivismo e meschinità. L’eco del Faust si propaga in tutta l’opera, dallo spettacolo al Teatro di Varietè fino al patto di Margherita, anche se nell’opera di Goethe Margherita ha un ruolo passivo; qui invece è la donna ad interagire con Satana e decide di accettare la sua offerta per esaudire il proprio desiderio di salvare il Maestro, ormai fuori di senno a causa delle incessanti critiche da parte della comunità letteraria.

Dunque, questo libro è anche la rappresentazione di una magnifica storia d’amore, vera, sincera, che vede Margherita prendersi cura dell’uomo di cui è innamorata mentre lui le legge il romanzo su Ponzio Pilato, e lei ne rimane talmente colpita che inizia a soprannominarlo Maestro. Nessuno, purtroppo, vorrà pubblicare il romanzo, e allora il Maestro in preda alla disperazione lo brucerà, finendo poi in una clinica psichiatrica. Proprio allora Margherita decide di sacrificare la propria anima a Woland, trasformandosi in una strega che, in sella al suo spazzolone, plana tra i tetti di Mosca alla ricerca dell’amato scrittore. Questa immagine rappresenta un sogno di libertà e di ribellione, quasi un ideale di femminismo, di cui Margherita è senza dubbio una precorritrice: attraverso la sua scelta infatti rinuncia alla liberazione del Maestro per liberare Frida, condannata all’inferno per aver ucciso il proprio figlio e costretta a vedere ogni giorno il fazzoletto utilizzato per l’omicidio. Colpito dalla pietà mostrata, il Diavolo le concederà comunque di liberare il Maestro.

I manoscritti non bruciano

“I manoscritti non bruciano”, una frase allo stesso tempo semplice ma dirompente, diventata il simbolo della letteratura russa del Novecento, diventata il simbolo della resistenza dello spirito contro la dittatura. Sfortunatamente Bulgakov non vedrà mai realizzato il sogno di veder pubblicato il suo romanzo, perché morirà nel 1940. Egli non saprà mai che nel 1967, anno della pubblicazione de Il Maestro e Margherita, il mondo intero accoglierà la sua grande opera con commozione e gioia, un “miracolo”, così definito da Montale, che diverrà un caposaldo della letteratura novecentesca. Questo libro ci aiuta a comprendere cosa abbia significato essere un genio che scrive un romanzo sotto un regime che ha paura di te, che cerca in tutti i modi di annientarti ma che alla fine nulla può fare contro la grandezza e la levatura di uno scrittore immenso, le cui doti trionfano sempre contro l’ottusità del potere. Per questo e molto altro, leggere oggi Il Maestro e Margherita potrà, forse solo in parte, saziare la nostra sete di libertà. Chi scrive è convinto di sì.

Marco Costa

È stata la mano di Dio: l’ultimo capolavoro firmato Paolo Sorrentino

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Che Paolo Sorrentino abbia un rapporto particolare con la sua terra lo sapevamo più o meno tutti: dalla sua partenza, infatti, il regista non era mai più tornato a girare nella sua terra natia. Una scelta dettata non da una separazione volontaria, ma necessaria. Il film, oltre che rappresentare un omaggio a Napoli, si trasforma in un momento di catarsi tra il regista e il suo passato. Un tributo alla sua città che va oltre i legami, oltre la nostalgia, oltre l’amore. È stata la mano di Dio rappresenta l’intima confessione del regista premio Oscar, un viaggio nel tempo della sua giovinezza, attraverso le vie della Napoli anni ’80. 

Con questo film Sorrentino torna in parte alle origini de L’uomo in più, meno onirico e più asciutto. Non si può prescindere da questa pellicola se si vuole capire la filmografia e la storia personale del regista: in questo film c’è tutto il cinema di Sorrentino, tutta la sua storia e il suo dolore, interiorizzato, reso conscio e sublimato.

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Il film, prodotto da The Apartment e distribuito da Netflix, racconta l’adolescenza del protagonista Fabio Schisa, detto “Fabietto” ed alter ego di Sorrentino, e del suo legame con la famiglia, con la città e con la squadra di calcio partenopea ovviamente. L’arrivo di Maradona a Napoli, infatti, rappresenta l’evento che ribalta la vita di Fabietto e di tutta la città: El pibe de oro ha scelto Napoli e la città per questo lo trasformerà nel proprio salvatore. L’arrivo del calciatore argentino non rappresenta purtroppo l’unico evento che stravolgerà la vita del protagonista: a causa di un incidente nella seconda casa in montagna, i genitori perdono la vita. Fabietto si sarebbe dovuto trovare con loro in quel momento, ma aveva deciso di rimanere a Napoli perché quella domenica c’era la partita, e Maradona lo aspettava. La mano de dios lo ha salvato e ora si ritrova come bloccato in un limbo, troppo grande per cedere ad una disperazione infantile e troppo giovane per sostenere il peso dell’esistenza senza l’apporto fondamentale dei genitori. 

Così il cinema diventa l’unica via d’uscita, la ricerca di realtà nuove e alternative, la possibilità di creare mondi nuovi grazie alla narrazione; il confronto con Capuano (mentore di Sorrentino nella realtà) rappresenta il nuovo inizio: un dialogo feroce, crudo, e intenso sul cinema, sul coraggio e sulla ricerca dell’identità; proprio qui si compie il rituale più potente dell’intero film, quello che segna davvero le origini di Paolo Sorrentino. La sequenza percorre l’intera città, attraversando il centro di Napoli, passando per Mergellina per poi consegnarsi al mare. È il racconto della nascita, è la scoperta della vita, il passaggio da Fabietto a Fabio. Il cinema a quel punto diventa l’unica strada percorribile per riuscire a sopravvivere, creare e raccontare diventano le armi con cui combattere l’oblio.

Non è un film su Maradona

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Nell’immagine uno dei luoghi commemorativi di Maradona a Napoli, in via De Deo nei quartieri spagnoli. (Credit: https://www.instagram.com/marco.costa_/ )


Il titolo evocativo potrebbe farvi confondere, quindi è giusto chiarire un punto: la pellicola di Sorrentino non è un film su Maradona. Indubbiamente Diego rappresenta una delle fondamenta del film e dell’anima di Napoli, quando si parla della città si parla del Dies e viceversa. Maradona ha rappresentato molte cose per Napoli: rivincita, rivoluzione, un bagliore di speranza che ha valicato i limiti del campo da gioco, riportando la dignità ad una città che veniva dal periodo buio post-terremoto del 1980. Un gigante che Sorrentino decide di lasciare sullo sfondo, perché rappresentare Diego in un film non è possibile (parola del regista). Maradona in questo film è come Dio: non c’è ma agisce. El dies è il motore intorno al quale ruota la storia e la vita dei personaggi, salva la vita a Napoli e ai napoletani solo perché gioca a calcio, salva la vita a Fabietto solo perché esiste; ne è convinto zio Alfredo, tanto da dire a Fabietto che “È stato lui, è stato lui che ti ha salvato. È stato lui, è stata la mano di dio”.

Tra Fellini e Capuano: un’ode ai maestri

Capire il cinema di Sorrentino vuol dire anche capire i suoi maestri e i suoi ispiratori. Più volte il regista ha ricordato quanto siano stati fondamentali i film di Federico Fellini nella sua formazione di regista, tanto da farlo essere presente in È stata la mano di Dio, intravisto da Fabietto ma significativamente lasciato fuoricampo; il debito verso il regista riminese risuona in tutto il film, dall’ingorgo iniziale che ricorda 8 ½, ai ritratti familiari di Amarcord fino anche alla Dolce Vita. Se Fellini viene solo evocato o ricordato, Antonio Capuano diventa una figura mitica, centrale, un idolo che aiuta Fabietto a diventare Fabio, lo aiuta a capire come si fa il cinema, lo aiuta a superare il lutto per la perdita dei genitori e lo rimanda a pensare a Napoli e alla sua anima come spinta alla narrazione.

Non ti disunire!

Tutto il film ci ricorda quanto sia raffinata la capacità di scrittura dei dialoghi di Sorrentino, sempre pungenti e mai banali, in un contrasto continuo tra allegoria e celebrazione; ma è nella scena finale che questa maestria esplode, nel confronto serrato da Fabietto e Capuano. Il dialogo rappresenta l’intima confessione del regista, sospesa tra il rimorso di aver abbandonato troppo presto Napoli e la speranza che, così facendo, avrebbe rifuggito il dolore. Infatti, Capuano, rivolgendosi a Fabietto, gli dice che la fuga è solo un palliativo: “Alla fine torni sempre a te Schisa, e torni qua. Torni al fallimento. Perché è tutto un fallimento.”

Il cinema diventa la risposta ai dolori e ai tormenti dell’esistenza, attraverso di esso il protagonista ritrova l’unità perduta nel momento del trauma dovuto alla perdita dei genitori. “Non ti disunire Schisa! Non ti disunire mai.” urla Capuano al ragazzo, in un inno d’amore verso il cinema, verso Napoli e verso il potere della narrazione. Paolo Sorrentino riesce a commuoverti in modo maledettamente sottile e preciso, senza ricorrere a trucchi o a ruffianate. Nei suoi film troviamo la poesia che cerchiamo sempre nella vita, ma anche quella che non cerchiamo e che inevitabilmente ci colpisce, l’essenza delle piccole cose.

Marco Costa

Preservare il mare per preservare il nostro futuro

L’acqua rappresenta il presupposto della vita e come tale deve essere difesa e salvaguardata. Gli oceani ricoprono la maggior parte della superficie terrestre (circa il 71%), rappresentano il più grande ecosistema del pianeta e la loro complessità ha garantito lo sviluppo e la crescita della vita sulla Terra. La temperatura, le correnti e le forme di vita acquatiche influenzano i sistemi globali in maniera determinante. Dal meteo fino al clima, dall’ossigeno presente nell’aria che respiriamo fino all’acqua che beviamo, tutti questi elementi sono regolati e influenzati dal mare. 

A livello globale, il valore di mercato stimato delle risorse e delle industrie marine e costiere è di tremila miliardi di dollari annui, ovvero circa il 5% del PIL globale.  Più di tre miliardi di persone dipendono dalla biodiversità marina e costiera per la loro sopravvivenza. Quasi il 7% delle proteine assunte dalla popolazione mondiale proviene dal pesce.

Nel corso della storia, gli oceani e i mari sono stati e continuano ad essere canali vitali per il commercio ed il trasporto. Una gestione responsabile di questa fondamentale risorsa globale è alla base di un futuro sostenibile. Il riferimento dell’obiettivo numero 14 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è quindi incisivo in questa direzione, in quanto si richiede la conservazione ed un uso più responsabile e durevole degli oceani, dei mari e di tutte le risorse contenute al loro interno.

Un mare di plastica

Un rapporto realizzato da Greenpeace stima che ci siano oltre 5,25 trilioni di pezzi di plastica galleggianti sugli oceani del mondo, che pesano oltre 250.000 tonnellate. Tutto questo inquinamento ha avuto un grave impatto sull’ambiente, con prove che suggeriscono persino che organismi marini fino a 10 km sotto la superficie hanno ingerito frammenti di plastica. L’infografica che segue è stata realizzata da Statista e mostra la distribuzione dell’inquinamento da plastica negli oceani del mondo. 

https://www.statista.com/chart/8616/the-worlds-oceans-are-infested-with-plastic/

Il Pacifico settentrionale ha il più alto livello di contaminazione con quasi 2 trilioni di pezzi di plastica, mentre l’Oceano Indiano è secondo con 1,3 trilioni. Sempre secondo Greenpeace, le prime 6 aziende al mondo vendono bottiglie di plastica del peso di oltre 2 milioni di tonnellate ogni anno. Nonostante il riciclaggio di questi materiali sia molto efficiente, ancora troppe unità di plastica finiscono nelle discariche e negli oceani.

La pesca insostenibile

Un’altra grave minaccia per il mare è rappresentata dalle pratiche di pesca intensiva, le quali stanno cancellando velocemente molte specie marine. Quando si pesca più velocemente della capacità dei pesci di riprodursi, è inevitabile un impatto totalmente deleterio sugli ecosistemi dei mari e degli oceani. Negli ultimi 60 anni la pesca a livello mondiale si è intensificata a tal punto che circa un terzo degli stock ittici risulta eccessivamente sfruttato: nel Mar Mediterraneo, ad esempio, si parla addirittura del 93%. 

Secondo il nuovo rapporto FAO Lo Stato Mondiale della Pesca e dell’Acquacoltura, la produzione di acquacoltura oramai rappresenta il 52% del pesce destinato al consumo umano. Questo significa che metà del pesce che arriva sulle tavole dei consumatori proviene dagli allevamenti ittici, dove il modello di produzione predominante è quello industriale e intensivo. 

Seaspiracy è un documentario distribuito da Netflix che ha recentemente riscosso molto successo. Il suo ideatore, Ali Tabrizi, ha svolto molte ricerche sul campo per portare alla luce tutte le ombre della pesca intensiva; un viaggio che parte dal sud dell’Inghilterra e arriva alle coste della Liberia, passando per il Giappone, la Thailandia, Hong Kong, con un epilogo cruento nelle isole Fær Øer, e mettendo sotto accusa l’industria della pesca nel suo complesso. Secondo il regista, queste pratiche porteranno all’estinzione della maggior parte delle specie marine entro il 2048. 

Il ruolo dell’Europa

Il 17 giugno 2008 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno emanato la Direttiva 2008/56/CE, detta anche Marine Strategy Framework Directive, che aveva come obiettivi inziali la tutela della biodiversità marina ed il raggiungimento della soglia di inquinamento zero in mare. La Direttiva si basa su un approccio integrato e si proponeva di diventare il pilastro ambientale della futura politica marittima dell’Unione Europea. Dato il carattere innovativo, pur essendo stato di recente superato il limite temporale di attuazione (inizialmente previsto per il 2020), essa è il fondamento delle attuali e future politiche per la salvaguardia degli ambienti marini.

Come già avevamo affrontato il tema in un altro articolo, il Green Deal europeo rappresenta un piano per rendere sostenibile l’economia dell’UE. L’Europa vanta una salda posizione di partenza quando si tratta di sviluppo sostenibile ed è anche fortemente impegnata, insieme ai suoi paesi membri, ad assumere il ruolo di apripista nell’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e, nello specifico, dell’obiettivo numero 14 per la conservazione dei mari e degli oceani.

E l’Italia? 

Il nostro paese si è reso protagonista di forti ritardi rispetto al recepimento della legislazione europea. Secondo il Rapporto ASviS 2020, infatti, gli stock ittici italiani sono ampiamente sovra sfruttati rispetto alla media Ue. La recente relazione sullo stato di attuazione della Marine Strategy Framework Directive, presentata dalla Commissione Europea il 25 giugno 2020, evidenzia, infatti, i ritardi nella presentazione delle relazioni previste dalla Direttiva e la carenza di molti dei dati conoscitivi. L’Italia risulta ancora tra gli Stati membri con sensibili inadempienze, nonostante la fondamentale importanza ambientale e socioeconomica che il mare riveste per il nostro Paese.

Sempre secondo il Rapporto ASviS 2020, a livello globale si segnala un aumento dell’acidità degli oceani del 10-30% rispetto al periodo 2015-2019, con gravi conseguenze sulla fauna, sulle barriere coralline e sulla flora marina. Ci sono anche dei segnali positivi fortunatamente, dal momento che si è registrato un aumento delle aree marine protette, raddoppiate rispetto al 2010.

Un cambio di passo è più che mai necessario ed ASviS ha presentato alcune proposte concrete per accelerare il processo di attuazione della legislazione europea e dell’obiettivo numero 14 dell’Agenda 2030, tra cui: 

  • Colmare i ritardi sulla Marine Strategy Framework Directive per conseguire un buono stato ecologico
  • Promuovere la piccola pesca, coinvolgendo pescatori, associazioni di categoria, istituzioni ed enti di ricerca;
  • Un approccio bottle to bottle in un’ottica di economia circolare, per la riduzione di nuova plastica per liquidi;
  • Dare riconoscimento giuridico al Piano di azione regionale della Commissione generale della pesca in Mediterraneo (organizzazione regionale che fa parte della Fao e unisce 22 Paesi tra cui l’Italia).

I’d like to be under the sea, in an octopus’s garden in the shade cantavano i Beatles negli anni 70, ed il testo, scritto da Ringo Starr, fu ispirato da una vacanza del batterista in Sardegna di qualche anno prima. Da sempre esiste un rapporto di amore e rispetto tra l’uomo ed il mare; per tenere fede a quella relazione dobbiamo agire al più presto e fare in modo che il mare ritorni ad essere vitale e sano, in modo da consentire benessere per tutti ed un domani votato alla sostenibilità. L’acqua rappresenta la vita e come tale deve essere salvaguardata. Se preserveremo gli ecosistemi marini preserveremo anche il nostro futuro.

Comunità energetiche rinnovabili: il primo passo dell’Italia a Magliano d’Alpi

Sempre più spesso sentiamo parlare di transizione energetica: rendere sostenibili le nostre città e rinnovare le infrastrutture in modo che il loro impatto non sia più deleterio per il clima del pianeta. Le comunità energetiche rinnovabili rappresentano un esempio virtuoso e concreto di come questo procedimento sia effettivamente realizzabile. 

Cosa si intende per comunità energetiche?

Le comunità energetiche indipendenti sono ormai una realtà affermata in molte aree del territorio europeo (Germania e Danimarca su tutti). Esse rappresentano una scelta sostenibile che permette a molte città di favorire il processo di decarbonizzazione, limitare le emissioni di CO2, riuscire ad essere totalmente autosufficienti a livello energetico e, in alcuni casi, trarre profitto dall’energia in eccesso che viene prodotta da impianti ad energia green. Nata come iniziativa spontanea nei paesi del Nord Europa, la definizione di comunità energetica è entrata nella legislazione europea con il Clean Energy Package. Un’ulteriore spinta è arrivata con la direttiva Red II (2018/2001/Ue), che ha come obiettivo generale quello di portare il livello di consumo proveniente da fonti energetiche rinnovabili al 32% entro il 2030. 

Le comunità energetiche costituiscono a tutti gli effetti un soggetto giuridico e necessitano di un controllo meticoloso da parte dei membri partecipanti; il loro obiettivo principale è conseguire benefici ambientali, economici e sociali per la comunità stessa. Le premesse per cui siano definite tali sono l’installazione di impianti per le rinnovabili con una potenza totale inferiore a 200 kW e che l’energia ricavata sia possibilmente consumata dalla comunità stessa, oppure immagazzinata in sistemi appositi. L’impianto deve essere collegato alla rete elettrica a bassa tensione, attraverso la stessa cabina di trasformazione da cui la comunità energetica trae anche l’energia di rete.

Uno tra gli esempi più efficienti di comunità energetica in Europa si trova in Germania, precisamente nei comuni di Neuerkirch e Kulz, nel Circondario del Reno-Hunsrück. Per far fronte al debito pubblico e al calo della popolazione i due comuni si sono uniti e insieme ad alcuni cittadini hanno investito in impianti eolici, i quali hanno permesso un ricavo da investire in pannelli fotovoltaici e nella creazione di reti locali per il riscaldamento. Tra i due comuni il risparmio di CO2 è passato da 1200 a solo 80 tonnellate l’anno e ad oggi i soci sono 336 e gli impianti 18 (dati da La comunità energetica – Report 08/06/2020).

Il primo passo dell’Italia

Il 12 marzo 2021 è stata inaugurata la prima comunità energetica d’Italia: si trova nel comune di Magliano d’Alpi, in provincia di Cuneo, ed è stata denominata Comunità Energetica Rinnovabile Energy City Hall.

Si apprende dal sito del comune che “con la deliberazione della Giunta Comunale n. 38 del 28 aprile 2020 il comune ha aderito al Manifesto delle Comunità Energetiche per una centralità attiva del Cittadino nel nuovo mercato dell’energia, promosso dall’Energy Center del Politecnico di Torino, entrando in sinergia attiva con un polo di eccellenza del mondo della ricerca sui temi energetici e delle smart city”.

Con l’installazione di un impianto fotovoltaico da 20 Kw di picco, posto sul tetto del Palazzo comunale, l’amministrazione si presta a fornire energia pulita a piccole realtà cittadine come palestre, biblioteche, scuole, botteghe ed alcune abitazioni private. Il Comune quindi si propone come coordinatore della CER (Comunità Energetica Rinnovabile) e nel doppio ruolo di produttore e consumatore. Inoltre, viene offerta la possibilità a chiunque abbia a disposizione un impianto fotovoltaico costruito dopo il 1° marzo 2020, collegato alla medesima cabina di trasformazione secondaria utilizzata dal Comune, di proporsi come produttore energetico, mentre per coloro che non hanno a disposizione un impianto è concesso associarsi come semplici consumatori.

Si legge ancora sul sito del Comune che la legge di conversione del decreto “Milleproroghe” fornisce fin da subito “la possibilità a tutti i cittadini di esercitare collettivamente il diritto di produrre, immagazzinare, consumare, scambiare e vendere l’energia auto prodotta, con l’obiettivo di fornire benefici ambientali, economici e sociali alla propria comunità. In particolare, ci si attende che comunità energetiche rinnovabili e con autoconsumo collettivo possano contribuire a mitigare la povertà energetica, grazie alla riduzione della spesa energetica, tutelando così anche i consumatori più vulnerabili.” A ciò seguono tutta una serie di indicazioni che regolano il funzionamento della comunità così come definita dal decreto “Milleproroghe”, tra cui troviamo la limitazione per la potenza degli impianti che non deve superare i 200 kW e il vincolo per cui la condivisione dell’energia sia destinata all’autoconsumo istantaneo

Nell’articolo Energia pulita e sostenibile: qual è la realtà in Italia? abbiamo illustrato quello che è l’SDG numero 7 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che invita a “garantire l’accesso a un’energia economica, affidabile, sostenibile e moderna per tutti”. In questa direzione, la comunità energetica rinnovabile di Magliano D’Alpi fornisce un esempio tangibile di approvvigionamento energetico vantaggioso, mettendo l’Italia sui binari giusti verso un futuro in cui il termine transizione ecologica non sia solo il nome di un ministero ad hoc soffocato dalle contraddizioni della politica, ma diventi una realtà concreta da cui tutti possano trarre beneficio. Un cambio di passo è possibile. La rivoluzione green non può più attendere.

Fonti