Muoio tutte le notti ma rinasco creativamente ogni giorno

Sono sdraiato, inerme, penso che non sarebbe dovuta finire così e che sono troppo giovane per andarmene, non mi do pace, penso ai miei genitori e ai miei amici e provo incessantemente a uscire fuori da una situazione spinosa ma non riesco, sto morendo ancora una volta, esalo l’ultimo respiro e mi sveglio. People è anche racconti di vita e oggi vi racconterò una mia peculiarità un po’ curiosa ma che comunque potrebbe essere condivisibile da chi come me viaggia talmente veloce nell’arco della giornata da non spegnere mai il cervello. Finiscono sempre così le mie nottate, si tutti i giorni muoio nei sogni, cambia solo il come, che io ricordi la maggior parte delle volte vengo sparato, vedo una luce bianca e mi sveglio, altre volte quando sopravvivo agli spari muoio per fenomeni naturali, uragani? Pochi, terremoti? Frequenti, tsunami? Ultimamente spesso, mi è capitato anche di essere inseguito da donne giganti infuocate, cosa che potremmo decisamente definire come un esperienza tutt’altro che rilassante. Sono arrivato al punto però di godermi il viaggio e prendendo lentamente coscienza del fatto che probabilmente non mi salverò mai, ho deciso di sfruttare a pieno, artisticamente parlando, ogni sogno. A tempo perso infatti, mi dedico alla scrittura di sceneggiature e ( raramente, solo se la mia psiche lo richiede) libri, allora mi sono chiesto, perché non utilizzare tutto il potenziale creativo e artistico dei sogni? anche perché ragionandoci a fondo, aumenterebbe in maniera esponenziale la mia efficienza che già fa a botte con la mia indole poco propensa all’organizzazione. Fa strano pensare ai miei anni passati all’insegna dell’insonnia, da ragazzino, soprattutto alle superiori, non amavo dormire, il che mi ha creato non pochi problemi, ora ho fatto dei passi avanti dal punto di vista del sonno, ma come ne ‘ La recherche du temps perdu ‘ di Proust non basterebbero trenta pagine per spiegare i vari tormenti che precedono il momento in cui mi addormento, mi giro e mi rigiro come se fossi un burrito finché stremato non chiudo gli occhi e mi abbandono tra le braccia di morfeo. Il tormento da tre anni e undici mesi fa parte di me, prima come una vera e propria malattia, poi facendo di necessità virtù forse qualcosa di positivo, chissà che non sia lo stesso tormento, dato da alcune esperienze traumatiche che mi abbia spinto a fare questi viaggi fantastici che culminano con la mia paura più grande, molto probabilmente si, forse inconsciamente ho deciso di affrontare i miei mostri in una realtà intangibile, anche solo per farli stancare un po’ per permettermi di vivere più serenamente nel mondo reale, un po’ come un peso massimo che lavora ai fianchi l’avversario per farlo spompare in vista degli ultimi round. E pensare che quando la mia vita cambiò nel luglio del 2018, in maniera completamente inconscia feci esattamente l’opposto, ovvero dormire per non vivere a contatto con i demoni che avevo da sveglio e non sapevo che l’unica cura sarebbe stata il tempo. Chissà se la depressione di un uomo può effettivamente stimolarne la creatività anche solo per necessità o per istinto di sopravvivenza (questo lo tratteremo in un People futuro magari) e chissà se un giorno rileggendo questo piccolo racconto di vita potrò dire di aver davvero capito come funziona la mia testa nel bene e nel male. Una cosa l’ho capita però nei sogni mi preoccupo sempre di salvare gli altri senza mai riuscire a salvare me stesso, allora sapete che vi dico? spero davvero di aiutare qualcuno, anche solo in piccolo, con un testo del genere, perché so anche che senza quel tormento non farei questi sogni che, per quanto bizzarri, mi portano a scrivere storie, ché per quanto bizzarre, mi portano a condividere con chi legge People aspetti intimi della mia vita. Poche cose al mondo mi danno la possibilità di sentirmi così leggero, attivo e lontano dal tedio come mettere per iscritto dei racconti, insomma per dirlo in parole povere quando creo qualcosa di positivo da un esperienza negativa mi sento bello, bello come il sole. Dunque oggi sono qui, ché scrivo questo piccolo racconto personale con l’intento di provare anche solo a incuriosirvi, più tardi dormirò, morirò e rinascerò ancora, un po’ come il sole ogni giorno.

8:46 di Dave Chappelle è lo spettacolo che non sapevi di dover guardare

culture 04

Chi è Dave Chappelle?

Dave Kharl Webber Chappelle è uno stand-up comedian e attore statunitense, annoverato dalla critica come forse il più grande comico di tutti i tempi. Dave, nato a Washington DC il 24 agosto 1973 cominciò la sua carriera giovanissimo, infatti dopo aver passato l’adolescenza in Maryland si trasferisce a new York appena diciannovenne dove entrò in contatto con la vera classe di comici che aveva sempre seguito sin da bambino. Negli anni Dave è diventato celebre sia sui palchi sia grazie al Chappelle show, prodotto da Comedy Central  considerato uno dei must della comicità americana. Comedy Central con cui ebbe grandi attriti (per via sia della libertà di espressione sia di un contratto molto sconveniente firmato in condizioni disperate dal comico), prima di abbandonare sia il network sia il programma rifiutando milioni di dollari e trasferendosi in africa apparendo solo in spettacoli liberi o concerti ( Celebre la sua apparizione durante la performance di Kendrick Lamar ai Grammy del 2018,dove il rapper americano offrì una messa in scena estremamente politica e affascinante) . Un decennio dopo Chappelle torna a lavorare sui palchi e con il pubblico, firmando una serie di speciali con Netflix che hanno conquistato la critica mondiale.


La Location, il Wirrig Pavillion 

Il Wirrig Pavilion a Yellow Springs, Ohio è una bellissima abitazione divenuta famosa negli anni come spazio eventi,sia di natura pubblica sia di natura privata. Riconoscibile dai suoi spazi aperti e dalle travi in legno, non solo si immerge perfettamente nell’ambiente circostante ma dona anche a cerimonie ed eventi una sensazione di tranquillità ed empatia. A parer mio il luogo eleva ancora di più lo spettacolo unendo Dave e il pubblico in un’atmosfera quasi familiare. Chappelle difatti è un cittadino della stessa Yellow Springs, comunità che lo vede come una vera e propria istituzione anche per le sue numerose iniziative.


Perché 8:46? 

Il nome dell’evento deriva dagli 8 minuti e 46 secondi per cui il poliziotto Derek Chauvin rimase in ginocchio sul collo di George Floyd prima di ucciderlo. 8:46 è anche l’ora di nascita di Dave Chappelle. Il live show in questione è stato il primo evento dal vivo (nel Nord America)  durante la pandemia, contò 100 spettatori selezionati dotati di mascherina, sottoposti a tampone e distanziati nel giardino fronte alla struttura, il palco venne montato esattamente davanti al porticato, il tutto rese lo spettacolo estremamente intimo anche a livello visivo per chi come me non ha avuto la possibilità di partecipare. L’artista racconta in maniera estremamente sentita e dettagliata gli ultimi attimi di Floyd facendo anche riferimento al fatto che proprio in punto di morte abbia cercato la madre, una scena estremamente forte e vivida che ha fermato completamente un mondo che già per via della pandemia, si muoveva molto lentamente. Dopo un intenso sfogo sulla storia degli omicidi razziali negli USA e svariate critiche ai media, Chappelle esprime grande sostegno nelle nuove leve che combattono qualsiasi tipo di battaglie sociali tessendone le lodi e facendo notare come le loro azioni possano effettivamente cambiare le cose. Un altro momento estremamente toccante è il suo ricordo riguardante Kobe Bryant e la figlia Gianna tragicamente scomparsi in un incidente in elicottero il 26 gennaio dello stesso anno a Calabasas, California. Tra gli aneddoti Dave spiega come 24 e 8 (i numeri vestiti dal ‘Black Mamba’ Kobe Bryant con la maglia dei Los Angeles Lakers per vent’anni) siano anche la data di nascita dello stesso artista. Per tutta la durata dello spettacolo ( circa 25 minuti ) Dave Chappelle fa respirare e vivere tutta l’intensità di un padre che soffre e che teme per la propria famiglia e nonostante la natura dell’artista (  non mancano comunque brevi momenti di ilarità) lo show è tutt’altro che comico bensì si avvicina più a un abbraccio collettivo il che rende 8:46 un ‘must watch’ non solo per le tematiche sociali trattate ma per come un uomo che ha dedicato la propria vita a far ridere la gente, si sia fermato e abbia raccontato con vivida passione un momento che il mondo non può e non deve dimenticare. Lo show fu su invito e non ci fu alcun lucro, tutte le donazioni e i ricavi furono devoluti alla EJI (Equal Justice Initiative).

People a dodicimila metri

Viaggiare da Roma Fiumicino è sempre un’ esperienza.

Roma è Roma: la città eterna con tutte le sue sfumature (positive e negative) e con tutto il caos che ne concerne.
Se avete viaggiato da Fiumicino saprete che l’aeroporto principale di Roma non è altro che la città stessa, semplicemente in scala. Viaggiare da Fiumicino è sempre un’ esperienza: puoi aspettarti di tutto, in particolare gli incontri casuali, che, nel bene o nel male, vanno a caratterizzare sempre ogni partenza che faccio dalla capitale italiana. C’è da dire che diversamente da altri, alcuni incontri sono più speciali, anche a livello formativo. Quante volte vi è capitato, per esempio, di viaggiare accanto a una persona e non scambiare neanche una parola (la maggior parte dei casi, immagino) oppure di avere accanto dei bambini che piangono? Bene, l’esperienza che vi sto per raccontare è completamente a sé, perché grazie a questo breve viaggio ho avuto l’opportunità di conoscere un mondo completamente diverso rispetto a quello a cui sono abituato. Per questo, non credo esista una storia più People di questa.
Sono arrivato a Fiumicino circa due ore prima del volo, pronto a tornare in Sardegna, la mia isola natale, per le vacanze di Pasqua. Appena messo piede dentro l’aeroporto ho visto subito Fiumicino in tutto il suo splendore: persone che lanciano le valigie dei propri coniugi, persone che non sanno dove andare e vengono indirizzate a gran voce da parte degli Steward e delle Hostess, persone che ti chiedono 20€ per tornare in Libano e tante altre situazioni analoghe. 


Viaggio solo in corridoio, grazie.

La nostra storia però comincia direttamente all’imbarco del volo per Olbia, dove, dopo aver raggiunto l’aereo, presi posto nel mio sedile sul corridoio dove, essendo una persona che viaggia spesso, attendevo l’arrivo di chi si sarebbe dovuto posizionare nei restanti posti. Dopo circa 20 minuti non prese posto ancora nessuno, di conseguenza cominciai a pensare che probabilmente avrei passato il viaggio da solo, quando d’un tratto mi venne detto che accanto a me si sarebbe seduta una persona ‘particolare’ e con bisogno di assistenza speciale. Era un anziano, con una giacca e uno zaino dell’esercito, aveva una vistosa fasciatura al braccio e il capo chino. Lo aiutarono a sedersi e mi chiesero se potessi dargli un’occhiata lungo l’arco del viaggio. Accettai volentieri e aiutai subito il signore con la cintura di sicurezza. Mi ringraziò e cominciammo a chiacchierare. La sua voce era molto bassa e dovetti impegnarmi particolarmente per cogliere ogni parola ( soprattutto quando parlava simultaneamente agli annunci, che tra l’altro, lo facevano infastidire tantissimo). Mi disse che era un ex ufficiale dell’aeronautica a Copenaghen con svariate ore di volo nella sua carriera, tante prove fisiche e qualche episodio, che a quanto mi disse, era meglio non raccontare in giro, facendomi capire che aveva vissuto il bello e il brutto dell’esercito; mi disse, inoltre, che aveva girato per tanto tempo l’Europa passando anche per Milano e Firenze. Io da persona estremamente curiosa quale sono, cominciai subito con una raffica di domande che lo misero visibilmente in difficoltà, non per la complessità ma per il ritmo con cui arrivavano (ops, colpa mia), ma a cui cercò sempre di rispondere e quando poteva, lo faceva con una domanda a sua volta.


Certe cose non cambiano mai, l’amore è una di queste.

Mi disse che uno dei ricordi più belli della sua carriera da militare erano sicuramente le sue nottate brave in corso Buenos Aires. Tra varie risate mi raccontò episodi vissuti riguardanti soprattutto il cosiddetto ‘fascino della divisa’. Tra un racconto e un altro mi disse che l’unica cosa che conta nella vita è l’amore tra persone in ogni sua forma, fisico e mentale e che certe cose non cambiano mai e l’amore è una di queste; mi fece ragionare molto, effettivamente per lui erano passati circa 70 anni da quei momenti, ma li viveva come se fossero il presente, ricordando i nomi dei locali che aveva frequentato e alcuni dettagli come il colore dei tavolini o delle sedie. Capii dunque che dentro a quell’anziano visibilmente stanco dal viaggio, viveva ancora un giovane che nonostante la sua importante carriera nell’aeronautica lasciò tutto semplicemente per amare la vita, le persone e le esperienze. Iniziai cosi a pormi un’ incredibile serie di domande in completo stile me, la più ricorrente fu sicuramente ‘Ma io la sto amando la vita?’

Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio

Dopo essere stato completamente torchiato dalle mie domande (o forse per lo sforzo fisico di una perla come quella sull’amore), l’anziano signore cadde in un sonno profondissimo; faceva discretamente freddo e vedendolo tremolante gli sistemai la giacca per coprirlo meglio di quanto lui si fosse già coperto. Gli ultimi 15 minuti del volo furono caratterizzati dalle mie risate per le battute di Kevin Hart e da delle occhiate verso di lui per assicurarmi che non avesse problemi; missione che risultò compiuta, anche con uno spavento finale quando il signore decise di svegliarsi e riaddormentarsi nell’arco di trenta secondi, poggiando la testa nel sedile della fila davanti, motivo per cui effettuò l’atterraggio con due cinture di sicurezza: quella dell’aereo e il mio braccio. Arrivati a destinazione, ci stringemmo la mano e ci augurammo di rivederci presto, successivamente ci fu uno scambio di sguardi finale con cui cercò di comunicarmi che forse dovrei amare la vita un pochino di più o magari voleva semplicemente farmi capire che stavo bloccando la fila fermo lì a fissarlo, non lo sapremo mai.