8:46 di Dave Chappelle è lo spettacolo che non sapevi di dover guardare

culture 04

Chi è Dave Chappelle?

Dave Kharl Webber Chappelle è uno stand-up comedian e attore statunitense, annoverato dalla critica come forse il più grande comico di tutti i tempi. Dave, nato a Washington DC il 24 agosto 1973 cominciò la sua carriera giovanissimo, infatti dopo aver passato l’adolescenza in Maryland si trasferisce a new York appena diciannovenne dove entrò in contatto con la vera classe di comici che aveva sempre seguito sin da bambino. Negli anni Dave è diventato celebre sia sui palchi sia grazie al Chappelle show, prodotto da Comedy Central  considerato uno dei must della comicità americana. Comedy Central con cui ebbe grandi attriti (per via sia della libertà di espressione sia di un contratto molto sconveniente firmato in condizioni disperate dal comico), prima di abbandonare sia il network sia il programma rifiutando milioni di dollari e trasferendosi in africa apparendo solo in spettacoli liberi o concerti ( Celebre la sua apparizione durante la performance di Kendrick Lamar ai Grammy del 2018,dove il rapper americano offrì una messa in scena estremamente politica e affascinante) . Un decennio dopo Chappelle torna a lavorare sui palchi e con il pubblico, firmando una serie di speciali con Netflix che hanno conquistato la critica mondiale.


La Location, il Wirrig Pavillion 

Il Wirrig Pavilion a Yellow Springs, Ohio è una bellissima abitazione divenuta famosa negli anni come spazio eventi,sia di natura pubblica sia di natura privata. Riconoscibile dai suoi spazi aperti e dalle travi in legno, non solo si immerge perfettamente nell’ambiente circostante ma dona anche a cerimonie ed eventi una sensazione di tranquillità ed empatia. A parer mio il luogo eleva ancora di più lo spettacolo unendo Dave e il pubblico in un’atmosfera quasi familiare. Chappelle difatti è un cittadino della stessa Yellow Springs, comunità che lo vede come una vera e propria istituzione anche per le sue numerose iniziative.


Perché 8:46? 

Il nome dell’evento deriva dagli 8 minuti e 46 secondi per cui il poliziotto Derek Chauvin rimase in ginocchio sul collo di George Floyd prima di ucciderlo. 8:46 è anche l’ora di nascita di Dave Chappelle. Il live show in questione è stato il primo evento dal vivo (nel Nord America)  durante la pandemia, contò 100 spettatori selezionati dotati di mascherina, sottoposti a tampone e distanziati nel giardino fronte alla struttura, il palco venne montato esattamente davanti al porticato, il tutto rese lo spettacolo estremamente intimo anche a livello visivo per chi come me non ha avuto la possibilità di partecipare. L’artista racconta in maniera estremamente sentita e dettagliata gli ultimi attimi di Floyd facendo anche riferimento al fatto che proprio in punto di morte abbia cercato la madre, una scena estremamente forte e vivida che ha fermato completamente un mondo che già per via della pandemia, si muoveva molto lentamente. Dopo un intenso sfogo sulla storia degli omicidi razziali negli USA e svariate critiche ai media, Chappelle esprime grande sostegno nelle nuove leve che combattono qualsiasi tipo di battaglie sociali tessendone le lodi e facendo notare come le loro azioni possano effettivamente cambiare le cose. Un altro momento estremamente toccante è il suo ricordo riguardante Kobe Bryant e la figlia Gianna tragicamente scomparsi in un incidente in elicottero il 26 gennaio dello stesso anno a Calabasas, California. Tra gli aneddoti Dave spiega come 24 e 8 (i numeri vestiti dal ‘Black Mamba’ Kobe Bryant con la maglia dei Los Angeles Lakers per vent’anni) siano anche la data di nascita dello stesso artista. Per tutta la durata dello spettacolo ( circa 25 minuti ) Dave Chappelle fa respirare e vivere tutta l’intensità di un padre che soffre e che teme per la propria famiglia e nonostante la natura dell’artista (  non mancano comunque brevi momenti di ilarità) lo show è tutt’altro che comico bensì si avvicina più a un abbraccio collettivo il che rende 8:46 un ‘must watch’ non solo per le tematiche sociali trattate ma per come un uomo che ha dedicato la propria vita a far ridere la gente, si sia fermato e abbia raccontato con vivida passione un momento che il mondo non può e non deve dimenticare. Lo show fu su invito e non ci fu alcun lucro, tutte le donazioni e i ricavi furono devoluti alla EJI (Equal Justice Initiative).

Il Maestro e Margherita: il capolavoro di Bulgakov non è mai stato così attuale.

culture 04

È passato quasi un secolo dalla prima redazione de Il Maestro e Margherita e oggi un nuovo Diavolo, dalle parti di Mosca, sta portando avanti una campagna di censura e disinformazione, atta a tenere allo scuro il popolo russo riguardo le manovre, le modalità e gli esiti della guerra in Ucraina. Se già prima del conflitto contro Kiev la libertà di stampa in Russia era alquanto limitata, con l’inizio della guerra Putin ha dato ulteriori colpi alla libertà di espressione. Il parallelismo con Stalin e le continue censure di inizio secolo viene quasi naturale. Per i temi trattati, per i personaggi, e per l’iter che portò alla luce uno dei capolavori della letteratura russa, partorito dalla magistrale penna di Michail Bulgakov (ironia della sorte natio di Kiev), esso non è mai stato così attuale. In questi giorni bui trovo appropriato ricordare questo grande romanzo.

Immagine che contiene edificio, esterni, cupola, decorato

Descrizione generata automaticamente

Immagine della cattedrale di San Basilio in Piazza Rossa, a Mosca.

Storia di un romanzo sul Diavolo, sull’amore e sulla libertà.

La storia della letteratura è cosparsa di grandi opere che hanno tracciato il cammino dell’umanità, portandone alla luce gli elementi più nascosti, dando vita a emozioni che si sono trasformate in personaggi diventati immortali. Ci sono libri che hanno lasciato una cicatrice talmente profonda da ridefinire la nostra stessa percezione del mondo, della storia e, talvolta, di noi stessi. 

La prima volta che ho letto Il Maestro e Margherita ne sono rimasto accecato tanto era forte la luce che emanava. La potenza espressiva dei personaggi folgora il lettore e, nonostante siano molti e con nomi impronunciabili (come ogni grande romanzo russo), nessuno di questi è possibile che venga dimenticato. Il romanzo è ambientato nella Mosca degli anni ’20 e degli anni ‘30, luogo che Bulgakov conosceva e aveva vissuto a pieno, tanto da riportarne una perfetta topografia attraverso minuziose descrizioni. Mosca però rappresenta solo uno dei due piani narrativi dove si svolge la vicenda: dalla capitale si viene trasportati a Gerusalemme ai tempi della crocifissione, scenario inoltre del romanzo a cui per tutta la vita lavora il Maestro e di cui non vedrà mai la pubblicazione. Un libro dentro al libro quindi, due differenti piani narrativi che si intrecciano e che alla fine convergono congiungendo i personaggi protagonisti delle due storie.

La religione rappresenta uno dei cardini della narrazione, anche se la Chiesa non viene mai nominata; il misticismo ed il culto dell’oscuro la fanno da padrone fin dalle prime pagine, il rapporto dell’uomo con Dio assume un ruolo fondamentale. Il male, il Diavolo, rappresenta Stalin e il regime oppressore, con il quale Bulgakov si scontra per tutta la vita, prima cercando di integrarvisi, in seguito cercando di combatterlo sfruttando la forza delle proprie opere. In vita non riuscirà mai nell’impresa, ma attraverso le pagine del romanzo egli si vendicherà di tutti, da Stalin e la cerchia dei letterati post-rivoluzionari, colpevoli di opportunismo e di servilismo nei confronti del regime, fino ad arrivare al teatro sovietico. Attraverso la satira Bulgakov si fa beffa di tutti coloro che in vita avevano cercato di sabotarlo, il mondo che i cinque diavoli protagonisti incontrano è quello della Mosca che lo scrittore odia: una città opportunista, burocratica e conformista.

Ogni personaggio ha un destino legato al desiderio di rivincita di Bulgakov e molti sono i riferimenti alla vita dello scrittore stesso: i letterati vengono resi folli dall’incontro con Woland, lo sventurato Berlioz addirittura viene decapitato nel terzo capitolo, in seguito alla profezia dello stregone; Margherita, appena divenuta strega, come prima mossa decide di vendicarsi con il critico Latunskij che aveva distrutto la carriera del Maestro, volando verso il suo appartamento e devastandolo; il Maestro crede che il grande romanzo a cui lavorava da tutta la vita sia andato bruciato, il grande libro su Ponzio Pilato è invece sopravvissuto e Woland glielo riconsegna in uno dei passaggi più iconici del libro (Bulgakov aveva infatti deciso di bruciare una delle prime stesure del libro insieme ad altre opere, in seguito alle persecuzioni della polizia sovietica).

“I manoscritti non bruciano”, “Dire la verità è bello e piacevole”, “Non ha meritato la luce, ha meritato la pace”, tutte queste frasi sono esempi della capacità di Bulgakov di coniare espressioni simboliche, talvolta paradossali, che hanno conferito al romanzo un’iconicità tale da trasformarlo in oggetto di culto vero e proprio; molte di queste frasi, infatti, vennero continuamente riprodotte come dei graffiti sulle pareti delle scale che portano all’appartamento n. 50 della casa al n. 10 della Bol’šaja Sadovaja, dove Bulgakov aveva vissuto, che è diventato vero luogo di culto per gli amanti del libro.

Immagine che contiene testo, albero, esterni, finestra

Descrizione generata automaticamente

Immagine dell’appartamento n. 50 della casa al n.10 della Bol’saja Sadovaja. Tra il 1983 e il 1986, negli anni precedenti alla perestrojka, molte delle frasi più celebri del libro vennero incise, insieme a disegni che ritraevano i personaggi come graffiti, sulle pareti delle scale che portano all’appartamento. La polizia ha spesso riverniciato quei muri, ma le scritte sono tornate. (Credits Immagine https://xerosignal2.wordpress.com/2012/01/30/bolsaja-sadovaja-n-10/)

Il Maestro e Margherita è dunque un romanzo sul Diavolo, il quale è protagonista assoluto, appare in varie forme e devasta letteralmente la vita degli abitanti di Mosca, punendo tutti gli individui colpevoli di arrivismo e meschinità. L’eco del Faust si propaga in tutta l’opera, dallo spettacolo al Teatro di Varietè fino al patto di Margherita, anche se nell’opera di Goethe Margherita ha un ruolo passivo; qui invece è la donna ad interagire con Satana e decide di accettare la sua offerta per esaudire il proprio desiderio di salvare il Maestro, ormai fuori di senno a causa delle incessanti critiche da parte della comunità letteraria.

Dunque, questo libro è anche la rappresentazione di una magnifica storia d’amore, vera, sincera, che vede Margherita prendersi cura dell’uomo di cui è innamorata mentre lui le legge il romanzo su Ponzio Pilato, e lei ne rimane talmente colpita che inizia a soprannominarlo Maestro. Nessuno, purtroppo, vorrà pubblicare il romanzo, e allora il Maestro in preda alla disperazione lo brucerà, finendo poi in una clinica psichiatrica. Proprio allora Margherita decide di sacrificare la propria anima a Woland, trasformandosi in una strega che, in sella al suo spazzolone, plana tra i tetti di Mosca alla ricerca dell’amato scrittore. Questa immagine rappresenta un sogno di libertà e di ribellione, quasi un ideale di femminismo, di cui Margherita è senza dubbio una precorritrice: attraverso la sua scelta infatti rinuncia alla liberazione del Maestro per liberare Frida, condannata all’inferno per aver ucciso il proprio figlio e costretta a vedere ogni giorno il fazzoletto utilizzato per l’omicidio. Colpito dalla pietà mostrata, il Diavolo le concederà comunque di liberare il Maestro.

I manoscritti non bruciano

“I manoscritti non bruciano”, una frase allo stesso tempo semplice ma dirompente, diventata il simbolo della letteratura russa del Novecento, diventata il simbolo della resistenza dello spirito contro la dittatura. Sfortunatamente Bulgakov non vedrà mai realizzato il sogno di veder pubblicato il suo romanzo, perché morirà nel 1940. Egli non saprà mai che nel 1967, anno della pubblicazione de Il Maestro e Margherita, il mondo intero accoglierà la sua grande opera con commozione e gioia, un “miracolo”, così definito da Montale, che diverrà un caposaldo della letteratura novecentesca. Questo libro ci aiuta a comprendere cosa abbia significato essere un genio che scrive un romanzo sotto un regime che ha paura di te, che cerca in tutti i modi di annientarti ma che alla fine nulla può fare contro la grandezza e la levatura di uno scrittore immenso, le cui doti trionfano sempre contro l’ottusità del potere. Per questo e molto altro, leggere oggi Il Maestro e Margherita potrà, forse solo in parte, saziare la nostra sete di libertà. Chi scrive è convinto di sì.

Marco Costa

Twitch, un nuovo intrattenimento communitario

culture 04

Genesi di Twitch                                                                                                                                     
Al lancio della piattaforma che sarebbe diventata il pilastro violetto del live streaming Justin Kan ed Emmett Shear, suoi fondatori, non compresero l’importanza di ciò che stavano creando. 

Nato nel 2007 inizialmente col nome di Justin.tv, sito con un singolo canale dove mandare in onda la vita di Justin Kan live a 360 gradi e che gettò le basi del lifecasting, avrebbe assunto la forma finale, Twitch.tv, solo a Giugno 2011 e dopo la chiusura del primo sito, diventando il principale portale di live streaming con focus su videogiochi ed Esports. 

La piattaforma subì diverse modifiche per poter accogliere le persone interessate a streammare la propria vita e attività proprio come Justin Kan, furono infatti creati canali e categorizzazioni di contenuto ma quella che ebbe più successo e che portò i creatori a fondare il sito che conosciamo oggi, Twitch, fu quella dei videogiochi, la più frequentata e redditizia. 

Fu però alla notizia dell’acquisizione del servizio da parte di Amazon che il mercato si rese conto della reale capacità di Twitch, Jeff Bezos sborsò quasi 1 miliardo di dollari per questa operazione. 

Negli ultimi anni Twitch è una realtà in crescita che galoppa sui residui dei comportamenti pandemici, il picco di spettatori coincide infatti con l’inizio della pandemia: la piattaforma conta oggi circa 140 milioni di utenti attivi mensili, nel 2021 è stata raggiunta la vetta di 3 milioni di spettatori connessi simultaneamente e sono più di 9 milioni gli streamer che offrono i propri contenuti. 

Nel 2021 Twitch è al 34° posto a livello globale per il coinvolgimento complessivo degli utenti di Internet ma su cosa si basa il suo successo? 


L’interfaccia pulito e ordinato simil tv       

 All’apertura di Twitch l’interfaccia che l’utente si ritrova davanti è ordinata e ben categorizzata quanto può essere quella dei menù di servizi come Sky o Netflix. Qui iniziano le somiglianze tra schermo del pc e schermo della tv, quanto siamo lontani dal considerare piattaforme come Twitch la nuova televisione? 

Ben poco, considerando che lo schermo mostra i canali a cui è stato lasciato un like, canali a cui si è iscritti, canali consigliati in base agli interessi mostrati o canali che trattano di format/contenuti visualizzati di recente e questo ricorda rispettivamente le sezioni Netflix “La tua lista, Continua a guardare, Scelti per te” e nonostante Netflix non possa essere classificato come tv, intesa come programmi e canali pubblici, è generalmente considerata tale. 


Intrattenimento su Twitch? Similitudini col mondo televisivo
I dati mostrano come Twitch sia diventato parte integrante della routine quotidiana di molte persone: Statista riporta che gli utenti della piattaforma guardano le stream per una media di 95 minuti ogni giorno, un numero non troppo lontano dai minuti passati quotidianamente davanti alla tv. 

Ma cosa spinge le persone a guardare altre persone giocare, riprendere momenti di vita, parlare, camminare, ecc. ed esserne intrattenute? 

Esiste una sorta di consumazione voyeuristica di questo tipo di contenuti: guardare persone impegnate e divertite in certe attività porta allo spettatore lo stesso tipo di divertimento, il piacere che si riceve dal semplice guardare è forse pari al piacere che prova lo streamer nel portare avanti l’attività scelta. Questa pulsione voyeuristica è in parte riscontrabile anche nella produzione e consumo televisivi, specie nei salotti, nei talk, nei programmi sport o contest. 

Per la varietà di contenuto e per come lo streamer riesce a cambiare atteggiamento in base alla categoria che streamma, si ha la percezione di assistere ad una rappresentazione, quasi teatrale. 

In base al programma lo spettatore si ritroverà davanti al videogiocatore, all’attore non-attore della propria vita quotidiana, al conduttore, all’intervistatore: ricordiamoci infatti che Twitch non è solo videogiochi ma sempre più spesso talk, podcast, interviste ad personaggi pubblici o pub, una forma twitchiana di maxi talk dove lo schermo viene diviso in più sezioni con ognuna un ospite e l’utente decide di guardare la live dal suo streamer preferito mentre tutti o quasi streammano quello stesso contenuto nel loro canale.

Un aspetto in comune con l’intrattenimento classico a cui siamo abituati è il product placement che su Twitch avviene in modalità simili a quelle televisive, lo streamer può arrivare ad indossare i capi offerti da una casa di moda o da un brand, spesso con logo in bella vista (es. cappellini Red Bull, felpa Level Up ecc.). 

Alcune personalità della piattaforma streaming Twitch negli anni di streaming video sono arrivate a sistemi di format e interviste sempre più stratificate e interessanti, creando un vero e proprio palinsesto. 

Ad esempio, la Tomodachi Crew che ha come capo lo streamer Dario Moccia è ora diventata una vera e propria società, un’agenzia ma per streamer. 

Parte fondamentale del lavoro di Moccia sono le interviste a personaggi pubblici, organizzate come si farebbe in un canale televisivo, dato che per la stream sono affittati studi, luci, troupe cinematografica ed è lo streamer stesso che si pone in un atteggiamento alla stregua di quello che potremmo riscontrare in Francesca Fagnani su Rai2 col programma “Belve”, per citarne uno.

A fronte di questo enorme lavoro gli streamer con community molto ampie e con una schedule di appuntamenti che prevede anche collaborazioni e presenze ad eventi fisici (Comicon, fiere, festival, interviste ecc.) hanno la necessità di organizzare la propria settimana in base ai format che porteranno, costituendo un palinsesto personale. 

Alcuni streamer più piccoli con pochi abbonati fissi e un numero che oscilla in base alla giornata hanno invece una schedule molto meno fissa, sia nel contenuto che nell’orario. 

Vi saranno allora utenti di Twitch che allora organizzano la propria giornata di modo da essere liberi per un evento in particolare a cui vogliono assistere, potrebbe essere un’intervista, una conferenza, nulla di diverso rispetto al giovedì di X-factor; al contrario vi saranno spettatori più “casuali” che entreranno in un momento non sempre preciso della giornata ed esattamente come quando si scorrono i canali per trovare qualcosa di interessante, si inclineranno più su una o un’altra stream in base al momento. 

Similmente a come accade in Tv, tra streamer e streamer avviene un contatto, un collegamento, chiamato “raid”: questo ricorda il “darsi la linea” televisivo, dove gli spettatori di una trasmissione restano anche per la prossima. Solitamente il raid avviene alla fine della stream di un creator, l’altro creator a cui il pubblico sarà reindirizzato starà probabilmente giocando allo stesso gioco o la live rientrerà nella medesima categoria.

 Esiste anche un tentativo di farsi riconoscere come parte di quel “gregge” nella vita comune, grazie all’acquisto di merchandise ufficiale dello streamer, spesso esclusivo, lanciato come collaborazione con altri artisti o il più delle volte lanciato con un negozio online. 


Il caso particolare delle community su Twitch 

Un altro modo per testimoniare di essere parte di quel “gruppo” specifico, la community di un creator in particolare, è il conferimento da parte dello streamer di uno stemma allo spettatore, qualcosa che possiamo chiamare “badge di gregge”. 

Su Twitch l’utente può accedere in qualsiasi momento a qualsiasi contenuto, le live non sono a numero chiuso, i contenuti sono gratuiti, l’abbonamento eventuale pagato è stato pagato solo per una testimonianza di sostegno. 

Se non avere un abbonamento ad un canale generalmente non preclude l’accesso a contenuti passati, per quale motivo un utente acquista l’iscrizione ad un canale specifico?

Il content creator deve rendere accattivante il suo profilo e per farlo può creare o commissionare ad artisti delle emote, ovvero delle emoticon particolari create ad hoc per il canale e che senza l’abbonamento sono generalmente non disponibili per gli utenti che visualizzano la live o seguono il canale soltanto. 

                                                                                         
In fig. alcune emote di uno streamer, i badge di gregge. 

Le emote sono quindi ipertesti grafici consolidati nel canale e che la community usa liberamente per comunicare tra di loro e con lo streamer. Nel fare questo comunicano di essere parte integrante del canale, è come se usassero le parole del canale, comunicano tra di loro in un modo che un utente appena approdato su quella stream spesso non comprende. 

I meccanismi che si instaurano nella comunicazione tra utenti della stessa community sono riconducibili a quelli linguistici di gruppi organizzati e specifici: il modo in cui comunicano è definibile “gergo”, una varietà linguistica usata principalmente perché nel comunicare tra di loro utilizzano parole che non appartengono al vocabolario comune di ogni individuo ma sono state o create in quel bacino o sono conosciute da poche persone, come se fossero interne e ristrette a quel gruppo sociale, usate allora maggiormente per: 

  • non permettere ad altri di entrare nella conversazione e mantenere intimità o segretezza, per garantirsi sicurezza o riservatezza 
  • rimarcare l’appartenenza a quello specifico gruppo (ad es. nella malavita questi termini sono sbirro o palo

 Un aspetto particolare delle community di Twitch è l’alto livello di dedizione e affetto da parte degli utenti: non è la grandezza della community a renderla grande quanto più è attiva, propositiva, disposta a condividere. 

Normale che più spettatori avrà un creator più alte saranno le possibilità di avere un’ampia community ben costruita, dove ognuno ha un valore e malgrado il nome utente fantasioso, ognuno sarà una persona con un nome agli occhi del creator.  Questo esercizio mentale è più difficile per i creator con un’ampissima community e migliaia di spettatori mentre è comune per le piccole e intime community con massimo 50 spettatori rispetto ai grandi broadcast con migliaia di utenti connessi.  


Un nuovo intrattenimento communitario                                                                              
Nei mesi di lockdown tante persone, come la sottoscritta, si sono avvicinate a Twitch principalmente per l’estrema varietà dei contenuti che offre. 

Un utente che approda su Twitch per la prima volta si trova davanti una schermata che ha poco di diverso da quella che si troverebbe davanti accendendo la tv: si renderebbero subito disponibili canali di talk, di gioco, di sport ecc. 

Che sia per un utilizzo attivo, da spettatore che interviene nella chat e si rapporta a streamer o ospiti, o che sia per un utilizzo passivo, come può essere lasciare una stream di sottofondo mentre si è impegnati in altro al computer, questi atteggiamenti ricordano quelli che hanno accompagnato tutti noi durante la vita ma che abbiamo accomunato principalmente alla televisione. Che sia questa la nuova frontiera dell’intrattenimento?             

Ilaria Bartolomei

Perché creiamo meme (persino) sulla guerra?

culture 04

È il 24 Febbraio 2022 quando mi svegliano delle parole mormorate dall’altro lato della casa: “Putin ha invaso l’Ucraina/ hanno lanciato missili su Kiev”.

Assimilo la notizia con un nodo alla gola ma in realtà digerivo il tutto da almeno un mese, fin dalle prime minacce e dai primi telegiornali ma in particolare modo dai meme, perché erano il mezzo che mi creava meno ansia e che mi permetteva di restare lucida pur informandomi. 

Nel giro di tre settimane ho però visto l’attenzione e i trend cambiare da Sanremo alla guerra e mi sono chiesta, è davvero giusto creare meme persino su quest’ultima? Con la stessa leggerezza con cui li avevo visti creare su un festival della musica fino a poco tempo fa? 

E’ davvero giusto usare i meme, l’ironia, le battute, anche quelle più nere, per scrollarci di dosso la paura, i traumi? 

Un meme nasce come prodotto umoristico da produrre e (ri)condividere sul web ma negli ultimi vent’anni questo concetto si è evoluto passando dalla semplice battuta ad un qualcosa di più assurdo, parodico, spesso dark humoristico. 

L’umorismo dark è uno stile di commedia che ha come temi soggetti generalmente considerati tabù o particolarmente sensibili nell’immaginario collettivo comune, normalmente troppo seri o dolorosi da affrontare. 

Il senso dell’umorismo ha una forza che distrugge e ricostruisce nello stesso istante, quasi non sentiamo i fragori di questo lavoro perché li copriamo con la risata. Il riso sdrammatizza, toglie il disumano e il negativo alla cosa, è un atto creativo e liberatorio.

Tutti i meme sono scherzi ma alcuni ironizzano su traumi, eventi catastrofici, argomenti sensibili, ritenuti appunto troppo “dark” per poterci scherzare, come può essere la guerra con tutte le sue conseguenze.


Esempi di umorismo sul web

Prima che l’Ucraina fosse invasa migliaia di account da tutto il mondo si radunavano sotto profili (non ufficiali) di Vladimir Putin per chiedergli di ripensarci, alcuni lo chiamavano ironicamente “papà”. E’ una presa di posizione portata avanti con ironia ma resta una reazione umoristica ad un evento che iniziava a generare ansia e preoccupazione. 

È stato solo quando ho visto gli stessi Ucraini usare l’ironia su quanto successo che hanno preso valore le parole di Meghan Mobbs per Psychology Today, “il dark humor tratta argomenti preoccupanti e disturbanti con leggerezza e senso di divertimento”.

In questo modo il dark humor mostra quanto assurda o illogica sia una situazione utilizzando il mezzo del meme, dello scherzare su situazioni serie: scherzare su qualcosa, qualsiasi essa sia, rende l’oggetto dello scherzo meno gravoso sulla nostra mente. 

L’humor ci permette di essere più resilienti: nei primi giorni di conflitto il profilo Twitter ufficiale dell’Ucraina contava sull’appoggio del web occidentale e per tirarlo a sé ha usato meme, come: 

Secondo Nicholas A. Kuiper dell’Europe’s Journal of Psychology, l’humor può avere un ruolo agevolativo in situazioni estremamente traumatiche e può persino essere un metodo di adattamento per sopravvivere.  

In questo senso l’humor permette di riprendere il controllo sulle emozioni, poter sorridere di fronte a questi eventi restituisce un senso di controllo sulle nostre reazioni emotive. 

Gli psicologi ritengono l’humor un meccanismo di difesa, ad esempio la psicologa Nancy Irwin ritiene che l’humor sia uno dei migliori meccanismi per affrontare il dolore.

Persino i filosofi greci Platone e Aristotele credevano che l’humor fosse un mezzo dell’uomo per rialzarsi dopo un down emotivo o fisico, Aristotele stesso in uno degli scritti perduti, sosteneva il riso come strumento di verità. 

In questa prima “guerra social” l’humor può ancor di più creare “comunità” senza minimizzare il trauma che il popolo ucraino vive: il patto tra creator e spettatore è quello di un reciproco voler fare esperienza, demistificando il trauma di ciò che vediamo e ascoltiamo.

È il caso di alcuni creator su TikTok che filmano la propria realtà in pochi secondi, alcuni restituendo anche un senso di positività o normalità nel caos temporaneo che vivono, perché infatti, come dimostrano due nuovi studi dello Stanford Psychophysiology Laboratory, di fronte a immagini di conflitto, situazioni di stress e caos, la commedia è una strategia adattativa molto più efficace del vivere gli eventi con gravità e riservatezza, l’umorismo ottimista diventa più efficace del cinismo. 

(https://news.stanford.edu/news/2011/august/humor-coping-horror-080111.html)

La fotografa ucraina @Valerisssh ha documentato sulla piattaforma di TikTok l’invasione russa creando brevi video in cui informava giorno per giorno delle novità nella sua città, nel suo bunker, condividendo piccole gioie, ironizzando sul panorama urbanistico che dopo i bombardamenti non riconosce più; piccole personalità diventano così testimoni di guerra, tanto che la fotografa è stata chiamata per riportare la sua esperienza da varie testate giornalistiche e canali televisivi, fino ad approdare a Milano, dove sarà ospitata per 6 mesi dalla famiglia della celebre youtuber e scrittrice Sofia Viscardi. https://vm.tiktok.com/ZMLfrjss4

È stata la mano di Dio: l’ultimo capolavoro firmato Paolo Sorrentino

culture 04

Che Paolo Sorrentino abbia un rapporto particolare con la sua terra lo sapevamo più o meno tutti: dalla sua partenza, infatti, il regista non era mai più tornato a girare nella sua terra natia. Una scelta dettata non da una separazione volontaria, ma necessaria. Il film, oltre che rappresentare un omaggio a Napoli, si trasforma in un momento di catarsi tra il regista e il suo passato. Un tributo alla sua città che va oltre i legami, oltre la nostalgia, oltre l’amore. È stata la mano di Dio rappresenta l’intima confessione del regista premio Oscar, un viaggio nel tempo della sua giovinezza, attraverso le vie della Napoli anni ’80. 

Con questo film Sorrentino torna in parte alle origini de L’uomo in più, meno onirico e più asciutto. Non si può prescindere da questa pellicola se si vuole capire la filmografia e la storia personale del regista: in questo film c’è tutto il cinema di Sorrentino, tutta la sua storia e il suo dolore, interiorizzato, reso conscio e sublimato.

Immagine che contiene cielo, montagna, esterni, acqua

Descrizione generata automaticamente

Il film, prodotto da The Apartment e distribuito da Netflix, racconta l’adolescenza del protagonista Fabio Schisa, detto “Fabietto” ed alter ego di Sorrentino, e del suo legame con la famiglia, con la città e con la squadra di calcio partenopea ovviamente. L’arrivo di Maradona a Napoli, infatti, rappresenta l’evento che ribalta la vita di Fabietto e di tutta la città: El pibe de oro ha scelto Napoli e la città per questo lo trasformerà nel proprio salvatore. L’arrivo del calciatore argentino non rappresenta purtroppo l’unico evento che stravolgerà la vita del protagonista: a causa di un incidente nella seconda casa in montagna, i genitori perdono la vita. Fabietto si sarebbe dovuto trovare con loro in quel momento, ma aveva deciso di rimanere a Napoli perché quella domenica c’era la partita, e Maradona lo aspettava. La mano de dios lo ha salvato e ora si ritrova come bloccato in un limbo, troppo grande per cedere ad una disperazione infantile e troppo giovane per sostenere il peso dell’esistenza senza l’apporto fondamentale dei genitori. 

Così il cinema diventa l’unica via d’uscita, la ricerca di realtà nuove e alternative, la possibilità di creare mondi nuovi grazie alla narrazione; il confronto con Capuano (mentore di Sorrentino nella realtà) rappresenta il nuovo inizio: un dialogo feroce, crudo, e intenso sul cinema, sul coraggio e sulla ricerca dell’identità; proprio qui si compie il rituale più potente dell’intero film, quello che segna davvero le origini di Paolo Sorrentino. La sequenza percorre l’intera città, attraversando il centro di Napoli, passando per Mergellina per poi consegnarsi al mare. È il racconto della nascita, è la scoperta della vita, il passaggio da Fabietto a Fabio. Il cinema a quel punto diventa l’unica strada percorribile per riuscire a sopravvivere, creare e raccontare diventano le armi con cui combattere l’oblio.

Non è un film su Maradona

Immagine che contiene terra, esterni

Descrizione generata automaticamente

Nell’immagine uno dei luoghi commemorativi di Maradona a Napoli, in via De Deo nei quartieri spagnoli. (Credit: https://www.instagram.com/marco.costa_/ )


Il titolo evocativo potrebbe farvi confondere, quindi è giusto chiarire un punto: la pellicola di Sorrentino non è un film su Maradona. Indubbiamente Diego rappresenta una delle fondamenta del film e dell’anima di Napoli, quando si parla della città si parla del Dies e viceversa. Maradona ha rappresentato molte cose per Napoli: rivincita, rivoluzione, un bagliore di speranza che ha valicato i limiti del campo da gioco, riportando la dignità ad una città che veniva dal periodo buio post-terremoto del 1980. Un gigante che Sorrentino decide di lasciare sullo sfondo, perché rappresentare Diego in un film non è possibile (parola del regista). Maradona in questo film è come Dio: non c’è ma agisce. El dies è il motore intorno al quale ruota la storia e la vita dei personaggi, salva la vita a Napoli e ai napoletani solo perché gioca a calcio, salva la vita a Fabietto solo perché esiste; ne è convinto zio Alfredo, tanto da dire a Fabietto che “È stato lui, è stato lui che ti ha salvato. È stato lui, è stata la mano di dio”.

Tra Fellini e Capuano: un’ode ai maestri

Capire il cinema di Sorrentino vuol dire anche capire i suoi maestri e i suoi ispiratori. Più volte il regista ha ricordato quanto siano stati fondamentali i film di Federico Fellini nella sua formazione di regista, tanto da farlo essere presente in È stata la mano di Dio, intravisto da Fabietto ma significativamente lasciato fuoricampo; il debito verso il regista riminese risuona in tutto il film, dall’ingorgo iniziale che ricorda 8 ½, ai ritratti familiari di Amarcord fino anche alla Dolce Vita. Se Fellini viene solo evocato o ricordato, Antonio Capuano diventa una figura mitica, centrale, un idolo che aiuta Fabietto a diventare Fabio, lo aiuta a capire come si fa il cinema, lo aiuta a superare il lutto per la perdita dei genitori e lo rimanda a pensare a Napoli e alla sua anima come spinta alla narrazione.

Non ti disunire!

Tutto il film ci ricorda quanto sia raffinata la capacità di scrittura dei dialoghi di Sorrentino, sempre pungenti e mai banali, in un contrasto continuo tra allegoria e celebrazione; ma è nella scena finale che questa maestria esplode, nel confronto serrato da Fabietto e Capuano. Il dialogo rappresenta l’intima confessione del regista, sospesa tra il rimorso di aver abbandonato troppo presto Napoli e la speranza che, così facendo, avrebbe rifuggito il dolore. Infatti, Capuano, rivolgendosi a Fabietto, gli dice che la fuga è solo un palliativo: “Alla fine torni sempre a te Schisa, e torni qua. Torni al fallimento. Perché è tutto un fallimento.”

Il cinema diventa la risposta ai dolori e ai tormenti dell’esistenza, attraverso di esso il protagonista ritrova l’unità perduta nel momento del trauma dovuto alla perdita dei genitori. “Non ti disunire Schisa! Non ti disunire mai.” urla Capuano al ragazzo, in un inno d’amore verso il cinema, verso Napoli e verso il potere della narrazione. Paolo Sorrentino riesce a commuoverti in modo maledettamente sottile e preciso, senza ricorrere a trucchi o a ruffianate. Nei suoi film troviamo la poesia che cerchiamo sempre nella vita, ma anche quella che non cerchiamo e che inevitabilmente ci colpisce, l’essenza delle piccole cose.

Marco Costa