“I giovani non leggono più”

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I giovani non leggono più

Quante volte vi è capitato di sentire queste parole fugaci e così nette? Troppe.

Ma avete mai provato ad indagare se la situazione stia davvero così, se si può fare qualcosa per migliorarla? Oppure semplicemente il mondo non è più come era prima, ai tempi giovanili di genitori e nonni. Sì che allora si leggeva…

Non passa giorno senza che vengano snocciolate profezie catastrofiche sui giovani incapaci di leggere, sempre più distratti e svogliati. I dati che abbiamo a disposizione sono molti, vediamoli un po’.


Quanto e come si legge oggi?

Ad oggi, secondo le ricerche condotte dal Centro per il libro e la lettura (CEPELL) e dall’Associazione Italiana Editori (AIE), presentate al Salone internazionale del Libro di Torino 2021, gli italiani di età tra 15 e 75 anni che in un anno hanno letto almeno parzialmente un libro cartaceo o digitale, o un audiolibro sono il 56%. Quasi metà del paese non legge. Notare che le statistiche considerano anche gli audiolibri, che non sono propriamente delle letture, ma degli ascolti, quindi sono molto diversi in termini di impegno visivo e di attenzione “mentale”.

Altro dato piuttosto interessante è che chi legge da tempo, in questi tempi lo fa ancora di più, mentre chi non leggeva già prima, continua a non farlo. Abbiamo sempre di più una Ferrari nuova di zecca affiancata a un’utilitaria ormai fuori produzione con migliaia di chilometri sulle spalle. Risultato? Con il trascorrere del tempo la differenza di velocità non può che incrementare sempre di più il divario tra i mezzi.

Guardando bene, però c’è da dire che ci sono tantissimi fattori che influenzano i dati: i principali sono l’area geografica di provenienza, titolo di studio, di reddito, di genere e l’età. Non tutti hanno la stessa facilità di approcciarsi a leggere, la percezione che nei decenni scorsi si leggesse “di più” è distorta dalla condizione sociale: leggere non valeva per tutti neanche in passato. 

Sezionando i dati contemporanei per in una fascia ancora più giovane, tra gli 11 e i 14 scopriamo dall’Istat (2017) che il 12,7 % è un lettore forte, cioè legge più di un libro al mese, quindi non è proprio vero che nessuno legge, è vero però che questi ragazzi nella gran parte dei casi leggono perché lo fanno anche i genitori. Nelle altre fasce di età i lettori forti sono tra gli adulti e i più maturi: il 16,5% di chi ha tra 55 e 64 anni e il 17,4% tra gli over 65.


Dati dal mondo e cosa fare per migliorare?

Se sfogliamo i dati più generali a livello mondiale, in Europa spiccano Norvegia e Francia come i paesi con maggiore interesse verso la lettura e soprattutto quella cartacea. I francesi che dichiarano di aver letto un libro sono il 92% (dati 2018, Centre National du Livre e Ipsos), i norvegesi 9 su 10 (dati 2015 Ipsos MMI). Se puntiamo alla lettura digitale, il Canada (2019) è il paese che registra più lettori. In praticamente tutti i contesti rilevati risulta che le donne e le ragazze sono le più interessate ai libri.

Una frase come “I giovani non leggono più” da cui siamo partiti è piuttosto semplicistica e merita di essere approfondita. Abbiamo appena visto infatti che la questione della non lettura non riguarda solo i giovani, ma una fascia di popolazione piuttosto ampia. Se la vogliamo mettere proprio in questi termini sono forse “le persone” che non leggono. Chiaramente però i giovani saranno gli adulti più maturi del domani ed è importantissimo che le nuove generazioni siano abili sia con la lettura che con le nuove tecnologie.

In realtà, oggi, con Internet tutti noi leggiamo più di prima, infatti siamo circondati da molti più testi rispetto al passato. Leggiamo pubblicità, post sui social, storie, pagine a cui arriviamo tramite link e molto altro. Ci troviamo davanti tanti spezzoni, però sempre meno testi lunghi e articolati come un libro tradizionale, da leggere filato.

In questo articolo escludiamo i libri ideati appositamente per lo studio, i manuali, ma ci riferiamo principalmente a testi come saggi, romanzi, biografie, raccolte di poesie, fumetti e non solo. Prodotti sia culturali che di intrattenimento.

Ma allora come possiamo fare in modo che il pubblico, soprattutto giovane, si avvicini di più alla lettura? Come possiamo sviluppare delle abitudini praticabili davvero da tutti?

Forzare qualcuno a leggere è evidente che sia una strategia che può essere controproducente, d’altro canto però può sviluppare l’attitudine alla disciplina, una dote che aiuta nelle attività di tutti i giorni, anche in quelle più spicce.

Oggi però è veramente difficile rispettare una regola rigida, semplicemente perché gli stimoli con cui siamo a contatto quotidianamente sono fin troppi, a differenza di qualche decennio fa, dove ci si trovava alle prese esattamente con il problema opposto.

  • Non è mai tardi per iniziare

Una cosa che aiuta molto è iniziare a leggere sin dalla più tenera età, molto banale a dirsi, ma ben più complesso da mettere in pratica. Un bimbo non fa tutto da solo, ha bisogno di buone guide e di motivazioni veramente forti per abbandonare qualche ora di gioco. Se non siamo riusciti ad appassionarci da piccoli non vuol dire affatto che dopo sia tardi, c’è sempre un momento per scoprire la lettura, anche se si è già un po’ cresciuti. L’importante è partire, poi piano piano tutto verrà da sé.

  • Approfittate di un tema che vi piace! (Vale tutto)

Tutti hanno qualcosa verso cui provano interesse, non si scappa. Trovare un argomento che attrae apre delle strade inaspettate. Chissà in quanti hanno scoperto una passione imprevista mentre erano intenti a fare cose ritenute leggere. Provare passione per il calcio, i supereroi o la moda non è una cosa da condannare! Spesso invece ci sentiamo quasi in colpa nel parlare di temi “futili”. Magari mentre proviamo a leggere la biografia di uno sportivo che ci attrae possiamo trovare un riferimento a un poeta e così potremmo interessarci e capire di più su questo sconosciuto, e così via. Diamo vita a una catena fatta di tanti anelli che si aggiungono a poco a poco.

  • Il potere di una gara

Cosa può esserci di più stimolante di una gara, accompagnata da un una bella ricompensa? Trasformare la lettura in una competizione è un’idea interessante e allontana in un angolo lo spettro sempre più minaccioso della solitudine. In fondo, bastano solo due persone (o gruppi) e un testo per fare una sfida (una challenge) di conoscenza e creatività. Chiaramente è inutile contare quanto si legge, ma quanto si riesce a comprendere.

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  • Dal film o dalla serie al libro

Uno strumento potentissimo sono le altre forme di rappresentazione come ad esempio i film. Tantissime pellicole nascono da dei libri. Quindi, se il film ti ha fatto impazzire, perchè non provare a leggere anche il libro? Tra i titoli nati da libri ci sono ad esempio Forrest Gump, Chiamami col tuo nome, Shrek, La Regina degli Scacchi, Bridgerton, Insomma, ci sono proposte di ogni genere. Non trascurate poi i fumetti che hanno ispirato gli eroi cinematografici di grande successo, soprattutto in questi ultimi anni.

Adesso abbiamo un quadro più chiaro della situazione legata alla lettura e alle innegabili difficoltà che si incontrano nell’avvicinarsi a testi letterari, in particolare per i giovani (ma non solo), oggi sommersi da tantissimi elementi che distraggono facilmente. Ci siamo anche cimentati in una serie di proposte per risolvere il problema e per far venire la voglia di leggere.

Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro.

(Umberto Eco)

Leggere è un cibo per la mente e tutto ciò che ha che fare con il cibo deve per forza essere buono.

(Snoopy)

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https://www.google.com/amp/s/www.open.online/2019/08/11/libri-davvero-i-giovani-non-leggono-piu-i-dati-istat-dicono-un-altra-cosa/amp/

https://www.google.com/amp/s/www.illibraio.it/news/librerie/italia-lettori-2021-1411397/amp/

https://pennablu.it/come-convincere-a-leggere/

Salute mentale: è solo una questione di statistiche?

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Arte folgorante

“La sanità di mente non dipende dalle statistiche”.

L’anonimato di una frase del genere, ben evidente sul muro di una stradina di un remoto paesino qualunque, può assumere (se la si comprende a fondo) un importante significato.

Attraverso ogni giorno quella strada e tutte le volte che mi ritrovo a leggere quella scritta, non manca mai di spuntare un sorrisetto sulle mie labbra. Il motivo? L’idea che qualcuno a me ignoto abbia voluto evidenziare una questione così significativa, soprattutto in un periodo storico in cui gli eventi catastrofici e imprevedibili ci espongono continuamente ad uno stress psicologico senza precedenti. 

Le vecchie generazioni mi perdonino!

Chiunque abbia audacemente e sapientemente “imbrattato” (per così dire: d’altronde la street art è in ogni caso arte) il muro con un graffito d’impatto così diretto probabilmente avrà sentito, in quell’esatto momento, la necessità di comunicare un proprio ideale, una personale e significativa interpretazione in merito all’argomento. E cioè che il benessere psichico molto spesso scinde dalla mera quantificazione in percentuale e va ben oltre la fredda, seppur spesso colorata (come se un po’ di colore in un diagramma rendesse più marcato il problema) rappresentazione grafica.

Infatti, la profondità di una tematica così delicata è difficile che venga compresa attraverso calcoli sistemici facilmente consultabili con un click e disponibili ovunque su internet: forse ciò che vuole comunicare il nostro sconosciuto “artista” è esattamente questo. 

Guardiamoci intorno: il web (che sia benedetto! O forse no) ci propone una marea di informazioni, di dati sulla salute mentale talmente vasta che ci si potrebbe persino annegare (io stessa nel consultarli ho dimenticato di indossare un salvagente!). 

Eppure, se con sensibilità ci approcciamo al tema possiamo renderci conto che sì, è vero che i numeri lasciano sgomenti, ma si tratta soltanto di cifre spesso non aggiornate ai tempi più recenti né così tanto inclusive. Siamo sinceri: molte stime non tengono conto di alcuni fattori determinanti e imprescindibili, quali l’età (tanto che alcune fasce vengono persino escluse, quasi fossero esentate dai problemi!), lo stile di vita, le aspettative sul futuro o l’ambiente circostante. 

Attenzione però! Qui la mia intenzione non è certo quella di denigrare la ricerca e gli studi in merito all’argomento. Il mio intento, al contrario, è quello di portare alla luce una questione più urgente che riguarda la difficoltà sia di interfacciarsi con il tema della salute mentale, sia quella effettivamente di “fronteggiarla” in modo adeguato.

Ma procediamo con ordine.


Se non vedo, non credo!

Molto spesso per credere realmente che esista una problematica si ha bisogno di esaminare con i propri occhi le prove che essa mette a disposizione. Siamo (ahimè direi!) esseri troppo razionali: senza nulla in mano le cose del mondo ci appaiono fantasticherie e fallaci illusioni e una tematica complessa come la salute mentale rischia di diventare una di quelle. 

Ciò di cui si ha più bisogno per evitare che ciò accada è credere in ciò che si vede e si legge (siamo tutti un po’ dei Tommasi del caso). E a tal proposito i numeri rappresentano una straordinaria àncora di salvezza: sebbene la sanità mentale non dipenda effettivamente dalle statistiche, a detta del nostro artista, le stime ci permettono di analizzare a tutto campo il fenomeno. 

Tenendo conto degli ultimi studi in nostro possesso a livello globale (in questo caso si consideri il rapporto Unicef 2021 sulle condizioni dell’infanzia nel mondo) sappiamo che quasi 46.000 adolescenti muoiono a causa di suicidio ogni anno, più di uno ogni 11 minuti. 

Questo rappresenta una fra le prime cinque cause di morte per la loro fascia d’età. In Europa occidentale diventa la seconda causa di morte fra gli adolescenti fra i 15 e i 19 anni, dopo gli incidenti stradali. Un dato che lascia sbigottiti! 

Un giovane su 5 tra i 15 e i 24 anni- continua il rapporto- dichiara di sentirsi spesso depresso o di avere poco interesse nello svolgimento di attività. E nel caso dei più giovanissimi è quasi inutile sottolineare come l’impatto del Covid-19 sulla socialità abbia sicuramente inferto loro un gravissimo danno. A questo va aggiunto, inoltre, che l’interruzione della routine, dell’istruzione, delle attività ricreative a seguito dei numerosi lockdown, ha reso molti giovani spaventati, arrabbiati e preoccupati per il loro futuro.

Henrietta Fore, direttrice generale dell’Unicef afferma: “L’impatto è significativo, ed è solo la punta dell’iceberg […] I governi stanno investendo troppo poco per affrontare questi bisogni fondamentali. Non viene data abbastanza importanza alla relazione tra la salute mentale e le conseguenze future sulla vita“. 

Secondo il rapporto sopracitato, a livello mondiale, viene destinato agli interventi per la salute mentale circa il 2% dei fondi governativi per la sanità. 

Questa è esattamente la prima grave questione che vorrei rimarcare: come mai i governi, le istituzioni si affacciano alla tematica con “elegante” disimpegno? Eppure le statistiche parlano chiaro: l’ansia e la depressione rappresentano il 40% dei disturbi mentali diagnosticati in ragazzi e ragazze tra i 10 e i 19 anni. Una percentuale a dir poco impressionante che interessa principalmente paesi quali Medio Oriente, Nord Africa, Nord America ed Europa Occidentale.


Assurdità made in Italy

Tralasciamo per un momento la questione globale, aprendo un focus sulla situazione in Italia.

In primis, le numerose query su google mi hanno lasciato un po’ perplessa: è sconcertante notare che gli ultimi dati Istat disponibili in rete risalgono (si pensi) al “remotissimo” 2018. 

Mi venga passato quest’ultimo termine data la quantità considerevole di eventi e “apocalittiche” situazioni che hanno interessato gli ultimi anni, tanto da farmi persino immaginare lontano un periodo in fin dei conti più che recente. 

Lo stesso Sole 24 Ore ammonisce sul fatto che mancano dati attuali, per intenderci post-pandemia, che spiegano dettagliatamente qual è il quadro sulla salute mentale in territorio italiano. 

Esaminando, tuttavia, alcuni degli studi in nostro possesso tratti dal report “La salute mentale in Italia: cosa ci dicono i dati dell’Istat” sappiamo che: 

Sempre l’Istat, in un altro report pubblicato nel luglio 2018 dal titolo “La salute mentale nelle varie fasi della vita”, mostra come il suicidio resta comunque un’importante causa di mortalità tra i più giovani. Con un tasso di 4,3 decessi per 100mila residenti, i suicidi rappresentano quasi il 12% dei decessi tra i 20 e i 34 anni (oltre 450 decessi). 

La gravità della problematica è evidente, soprattutto se si tiene conto del fatto che le stime riportate risalgono ormai a qualche anno fa. 

Infatti, non esistono dati che riportano l’impatto che sta avendo la pandemia sulla nostra vita. Azzarderei col pensare che le percentuali siano oltremodo peggiorate e che i fenomeni depressivi abbiano raggiunto valori altissimi. 

In ogni caso, resterò allerta nel caso in cui dovesse esserci qualche aggiornamento. 

Ah! Nel frattempo il “bonus psicologo” è in rampa di lancio. 

Attenzione però: se superi il reddito dei 50 mila euro sei escluso.

D’altronde ci sono più poveri che ricchi, perché cercare di sopperire alle esigenze economiche del popolo se esso può beneficiare di un qualsivoglia bonus? Ce ne sono così tanti in giro. Non si può mica avere tutto! Inoltre, devi portare una 30 di vita, essere alto circa 2 metri e mezzo, essere cittadino italiano (prima gli italiani! Non era così? Ah! se hai bisogno di un’arma perché no, ti aiutiamo noi) e ovviamente dimostrare di essere davvero, ma davvero bisognoso. Altrimenti beh, 12 sedute (le prime) puoi pagartele anche da solo. 

La salute mentale, caro anonimo imbrattatore, hai ragione non è questione di statistiche.

Direi più di requisiti da soddisfare. 

Arianna Modafferi


FONTI 

https://www.unicef.it/media/salute-mentale-nel-mondo-piu-di-1-adolescente-su-7-disturbi-mentali/

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2021/10/05/un-adolescente-su-7-ha-un-disturbo-mentale-_30dd13e1-077e-405a-94ff-bd4bab7208d7.html

https://www.istat.it/it/files/2018/07/Report_Salute_mentale.pdf

https://www.istat.it/it/files/2015/10/Salute-mentale_Giorgio-Alleva_2017.pdf

https://www.istat.it/it/files/2018/07/Report_Salute_mentale.pdf

Analfabetismo digitale: la vera chiave della non inclusione

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Chi non sa usare le potenzialità della rete e degli strumenti digitali non è ammesso alla vita nella società 2.0 contemporanea.

La frase sopra è una stilettata violenta, ma ben vicina alla realtà di oggi: l’analfabetismo digitale è guaio più grosso di quanto sembri, anche per chi è giovane e viene definito nativo digitale, perlomeno se è nato nei paesi economicamente più sviluppati.

Parlare di questo argomento in un contenuto pubblicato su Internet può suonare curioso. Chi si prenderà la briga di gettare un’occhiata a questo articolo lo farà da un device digitale, che probabilmente usa tutti i giorni e che quindi sa, certamente utilizzare al top. Anzi sarà giunto in questo luogo passando per un link in bio o tramite una storia di Instagram: perciò, doppio colpo. Know how anche dei social!

Help!

Siamo nel 2022 e ormai da due stagioni, video call, download di documenti e registrazioni su siti vari sono diventati di colpo necesse est (anzi, sunt: plurale) per tenere i contatti con altre persone.

I dati del rapporto DESI (Digital Economy and Society Index) 2020, quindi pre pandemia, collocano l’Italia alla posizione 28 su 28 tra gli stati dell’Unione Europea (compresa, ancora, la Gran Bretagna), nell’ambito delle competenze digitali (https://www.agendadigitale.eu/cittadinanza-digitale/alfabetizzazione-digitale-dopo-il-covid-e-necessaria-ecco-perche/). In Europa si viaggia a un’altra velocità. 

E nel mondo? Le statistiche dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) del 2019 inseriscono l’Italia al 27esimo posto su 29 paesi rilevati, davanti solo a Cile e Turchia e dietro oltre che a Giappone (1°), Olanda, Finlandia, Stati Uniti, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Australia anche a nazioni europee come Lituania, Estonia e Slovenia (https://www.money.it/Classifica-paesi-piu-analfabeti-Italia-prima-in-Europa). Gli Stati Uniti, al contrario delle aspettative, non stazionano sul podio, ma sono solo al 19° posto.

In tutto questo, lasciando l’Italia e l’Europa, le Americhe, l’Asia e l’Oceania, c’è un continente come l’Africa, che è molto discontinuo e in cui in molte zone, soprattutto dell’area subsahariana, mancano non solo cibo, acqua e altri beni di prima necessità, ma pure le connessioni a Internet. Questo è un problema in prima battuta secondario rispetto a questioni alimentari, ma in prospettiva rappresenta il reale ritardo a lungo termine. Chi non si connette, non solo resta isolato dagli altri, ma chi arriva per primo non si ferma. Perciò, non basta avere accesso a Internet per saperlo usare davvero.

4 azioni base da fare con le tecnologie digitali

Per usare al massimo gli strumenti digitali dobbiamo innanzitutto, conoscere le operazioni di base. Queste valgono a prescindere dall’età. Ne vediamo insieme 4, ma la lista è ben più lunga:

  • cercare informazioni;
  • tenersi in contatto con altre persone;
  • acquistare online;
  • usufruire di contenuti e crearli.

La prima, come detto, è cercare informazioni su un motore di ricerca. Il più noto è Google, ma non è l’unico. Anzi in alcuni paesi non c’è proprio e lo sostituiscono altri, come Baidu in Cina. Fin qui tutto facile. Questi sistemi funzionano più o meno allo stesso modo, tramite le query, ossia le ricerche, abbiamo risposte praticamente su tutto.

Forse non tutti però utilizzano al massimo questo mezzo. Ad esempio, con i filtri si può cercare per tipo di documento o tramite immagini. Oppure fare una ricerca precisa usando le virgolette o anche escludere delle parole e tanto altro…

La seconda, tenersi in contatto con altre persone, si realizza con metodi vari, dalla posta elettronica ai social network, o con i vari Skype, Zoom, Microsoft Teams, Webex e Google Meet. Non maneggiare questi mezzi significa perdere facilmente i contatti con gli altri, quindi è necessario imparare ad usarli.

La terza, acquistare online, ti aiuta a trovare oggetti particolari, o a prenotare i biglietti per un evento culturale, spendendo molto meno tempo. Quando si usano i soldi però è necessario stare molto attenti a ciò che si fa. Tra i metodi di pagamento tradizionali che si possono usare ci sono carte di credito, di debito, prepagate, bonifici bancari o postali. I bonifici richiedono però qualche giorno di tempo in più. Un’altra possibilità, nata con la rete, sono veri e propri servizi che fanno da intermediario tra la banca e la tua carta, come PayPal o altri simili quali l’italiano Satispay. Un altro modo è il contrassegno, con cui paghi al momento in cui ricevi ciò che hai acquistato. Non tutti accettano però questo meccanismo e di solito ti costa qualcosa in più (https://www.hostingvirtuale.com/blog/quali-sono-i-migliori-metodi-di-pagamento-online-10015.html).

Un’accortezza importante è non dare informazioni personali, dati finanziari e altro online. Il rischio è il phishing (il termine è una variazione di fishing “pescare”), problematica che colpisce anche utenti di giovane età. Il phishing consiste in truffe realizzate principalmente cliccando su un link, che accompagna un messaggio via e-mail o SMS, il quale sembra inviato da un’organizzazione di cui ci si può fidare, come una banca oppure le poste. Il link rimanda a un falso sito che somiglia a quelli ufficiali e se inserisci i dati, puoi perdere i soldi sulle tue carte.

La quarta attività riguarda i contenuti. Youtube e i servizi di streaming facilitano enormemente l’accesso a immagini, canzoni, video e sono un ottimo luogo per imparare qualcosa. Magari a produrre noi stessi quei contenuti che tanto ci piacciono, lavoro molto più dispendioso di fare da spettatori. Già trovare le lezioni giuste è un ottimo primo passo per muoverci meglio, poi una cosa tira l’altra e sarà un piacere riuscire in qualcosa.

Bufala: una parola vecchia per un problema sempre più di oggi

Altra operazione è riconoscere, quando ci servono informazioni, se quello che troviamo è vero. Questo è un bel problema, le informazioni vanno verificate, serve l’attendibilità. È banale, ma non è per niente semplice sapere con certezza cos’è veramente attendibile su Internet. Non commentate su social o siti, se non siete sicuri davvero della fonte, pena il ritrovarsi in situazioni imbarazzanti. Se trovate comunicati su iniziative assurde del Comune di Bugliano, ricordatevi che non esiste!

Su questo vengono in aiuto i siti di debunking, che smascherano le cosiddette bufale, dette anche fake news. Qualche esempio? Bufale.net e Butac, solo per citarne due. 

Ma sapete da dove deriva l’uso della parola bufala in questo senso? Prova a spiegarlo l’Accademia della Crusca (https://www.google.com/amp/s/www.linkiesta.it/2017/04/perche-le-fake-news-si-chiamano-bufale-risponde-la-crusca/amp/).

Per Tullio De Mauro deriva dal romanesco e viene attestato nel 1960. Secondo Paolo d’Achille è invece colpa dell’attore ciociaro Nino Manfredi, in uno schetch a Canzonissima del 1959, nel quale spiegava che dei ristoratori romani spacciavano la carne di bufala al posto di quella più pregiata di vitella. Un’altra attestazione del 1956, nel romanzo Un amore a Roma di Ercole Patti, la ribadisce ancora al romanesco, usata per riferirsi a un film brutto. 

Secondo un’altra ricerca, le donne degli anni ‘40 portavano scarpe con la suola in pelle di bufala, meno costosa del cuoio. Quando pioveva capitavano incidenti e negli ospedali, ogni volta che arrivavano le vittime di queste calzature, si soleva dire “Ecco un’altra bufala!”. Da qui si sarebbe passati a sinonimo di fregatura, e poi sia a quello di prodotto cinematografico di basso livello, che a quello di notizia falsa. 

Attenzione poi, sempre in tema di falsi, anche i deep fake! Video con attori che si muovono e imitano la voce di altri personaggi e che grazie all’intelligenza artificiale, sembrano assumere l’aspetto estetico di politici e celebrità varie. Questo fenomeno, di questi tempi, potrebbe diventare molto pericoloso!

Il mondo è già digitale

Qui abbiamo fatto un piccolo giro sul mondo digitale, senza entrare troppo nel dettaglio, compito che spetta agli informatici. Però, come abbiamo visto, volente o nolente, non si può fare a meno di queste innovazioni, che modificano il modo di pensare. Già a molti servizi vitali si accede solo esclusivamente online (basti pensare all’iscrizione ad una scuola) ed è importante che tutti abbiano la possibilità di sapere usare questi mezzi. Il digitale non è un plus, è già realtà, ma non è mai troppo tardi per mettersi in pari. 

Secondo molti, per alfabetizzare il mondo digitalmente ci serve solo un nuovo maestro Manzi, colui che aiutò gli italiani a scrivere e a leggere nella televisione degli anni ‘60. Ma in realtà ce ne sono molti di insegnanti, basta sforzarsi un po’ e avere la curiosità di capire come si muove il mondo.

Femminismo e pari opportunità: a che punto siamo davvero?

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“Alza il capo donna. Sei una guerriera che non si arrende.”

(L. Del Grande)

Siamo da poco entrati nel 2022 e ancora ci chiediamo se la parità di genere sia una realtà ormai consolidata o se la strada da percorrere sia ancora lunga e tortuosa. In tutto questo, è interessante valutare il ruolo del femminismo e gli obiettivi sociali che la società moderna sta cercando di perseguire per una maggiore uguaglianza ed equità tra i sessi.  


Una storia di obiettivi da raggiungere ed estremizzazioni

La tematica del femminismo è ormai alla portata di chiunque e molto spesso il fraintendimento riguardo ciò a cui il termine realmente si riferisce è la prima vera, preoccupante minaccia.

Facendo una breve precisazione sappiamo che la locuzione “féminisme” risale al 1837, anno in cui il socialista Charles Fourier ebbe la brillante idea di coniarlo.

Da allora le ondate femministe furono continue e gli obiettivi sociali raggiunti furono senz’altro straordinariamente importanti in particolar modo a partire dalla metà del Novecento, quando il movimento femminista diventò “stendardo” di uguaglianza e parità di genere.

Sia negli Stati Uniti, che in Italia, già a partire dagli anni ’60 del secolo scorso iniziarono a prendere forma le prime grandi manifestazioni di massa che, come obiettivo principale, rivendicavano diritti delle donne ancora negati (quali il divorzio e l’aborto tra i più famosi).

Oggi ci sono molte figure che si attivano per affermare la presenza femminile in tutti i settori, dando seguito alla ormai quarta ondata di quel movimento che chiamiamo femminismo. 

Sì, siamo già arrivati a quattro momenti. In breve, vi riproponiamo un piccolo riassunto delle varie fasi (https://www.iodonna.it/attualita/costume-e-societa/2021/06/07/femministe-social-femminismo-online/ ): 

  • la prima è quella che coinvolse le suffragette per ottenere il diritto di voto
  • la seconda si attivò negli anni ’60 per i diritti civili
  • la terza negli anni ‘90 per combattere il divario salariale,
  • La quarta, del femminismo intersezionale è quella attuale, del 2022.

L’ondata di oggi ha affiancato alla parola femminismo, l’aggettivo intersezionale. Intersezionale sta a significare che porta avanti battaglie che si intersecano, in quanto vi sono più forme di oppressione; ad esempio, una donna che nasce in un contesto disagiato o è straniera incontra ancora più difficoltà. Questo aspetto genera una grande confusione in quanto inserisce nuove specificazioni e dinamiche rispetto a quelle più generiche introdotte dagli attivisti delle ondate precedenti. In più, si smette di considerare solo il genere biologico (quello con cui si nasce), che separa nettamente i maschi dalle femmine, lasciando spazio all’idea di fluidità. Finora abbiamo parlato di ondate, che sono progressivamente divenute sempre più caotiche, fino alla complessità odierna, che è del resto la normalità. Spiegarla e capirla, però, non è affatto semplice.

Bisogna ricordare che il malinteso che spesso si crea tra quel tipo di femminismo pro-uguaglianza e ciò che viene definito “nazifemminismo”, è il risultato di un’estremizzazione del termine dovuta al tentativo (da parte di coloro che si sentono fortemente femministe) di sottolineare, in misura maggiore, la predominanza del sesso femminile su quello opposto.

Inutile dire che questa polarizzazione del termine è quanto di più sbagliato possa esistere e ciò che in realtà si allontana profondamente dal reale concetto del femminismo nella sua pura accezione.

Tuttavia, ciò che interessa davvero capire quando ci si trova di fronte alla tematica “Femminismo e pari opportunità” (sebbene ci siano molte ragioni da indagare dietro ciò che alimenta il nazi-femminismo) è il perché ancora oggi, nel XXI secolo, si senta discutere su disparità salariali, disuguaglianze di genere, divario sociale e culturale tra i sessi. 

Indubbiamente questo tipo di argomentazione rappresenta il peggior fallimento di una società, come quella occidentale (evoluta, progressiva e progressista, solidale, emancipata) che si propone il raggiungimento di obiettivi sociali egualitari, ma perde miseramente nella lotta “a chi discrimina meglio vince”.

In questo caso le possibili forme di discriminazione a cui ci si riferisce riguardano, nello specifico dell’ambito europeo, le disparità (https://europa.eu/youth/get-involved/your-rights-and-inclusion/womens-rights-gender-equality-reality-europe_it) retributive, culturali e sociali che colpiscono in primo luogo le lavoratrici, le artiste, le leader, le ricercatrici e scienziate, le madri, le operaie: in UE le donne guadagnano ben il 16% in meno di un collega uomo; solo il 7,7% dei presidenti dei consigli di amministrazione è donna; il 33% delle donne ha subito almeno una volta nella vita violenza fisica e psicologica.

(Photo by Matt Hardy on Unsplash)


La Rai (delle donne) spinge per la parità tra i sessi

È notizia recente (18 gennaio 2022) il patto No Women No Panel – Senza Donne Non se Ne Parla, promosso dalla Rai e sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio. Prime firmatarie due donne: la presidente di Viale Mazzini, Marinella Soldi e la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. L’accordo prevede parità di rappresentanza tra donne e uomini in dibattiti e talk show su radio e tv pubblica (https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2022/01/18/no-women-no-panel-patto-in-rai-per-la-parita-di-genere-in-dibattiti-e-trasmissioni-tv_abe4bc0e-220c-4c8c-ba7b-0995cd873219.html ).

I dati europei, come abbiamo già visto, non sono molto edificanti per il nostro paese: l’Italia, infatti, è solo quattordicesima su ventisette paesi per uguaglianza di genere.

La presidente Rai Soldi afferma che la presenza femminile nella programmazione Rai è pari solo al 37%, con un’aggiunta: è diverso il “peso”. Le donne non vengono chiamate, infatti, per via delle loro competenze, ma soprattutto per raccontare storie personali.

Questo è solo l’esempio più recente di documento nato per incentivare la parità di genere, ancora una volta sostenuto fortemente da donne, come da tradizione del mondo femminista.


Una questione da uomini

In questo quadro complicato è lecito notare come fino ad ora si sia parlato praticamente solo di donne che si interessano di altre donne. È necessario che gli uomini siano anche loro attivisti o devono essere esclusi perché semplicemente loro “non possono capire”?

I femministi maschi esistono, quindi? La risposta è sì e se ne può citare uno italiano. Lorenzo Gasparrini, scrittore e filosofo romano, ha dedicato ben 4 libri all’argomento, l’ultimo “Perché il femminismo serve anche agli uomini” (2020). Oltre a questi testi ha partecipato anche a vari laboratori, seminari e incontri in università, aziende, scuole, centri sociali, indirizzati principalmente a ragazzi e uomini.

I ragazzi hanno, infatti, un ruolo fondamentale nel cambiamento culturale di una società che è di fatto storicamente patriarcale. Femminismo è poi un termine inventato da un uomo, come abbiamo introdotto all’inizio. È arrivato decisamente il momento di muoversi tutti nella stessa direzione.


Prospettive per un futuro realmente 1 a 1

Per concludere il nostro discorso, cosa possiamo fare concretamente per raggiungere il traguardo finale dell’uguaglianza tra generi? Proseguire fianco a fianco, smettendo di contrapporsi senza rinegoziare le nostre posizioni e idee di partenza. Gli strumenti possono essere la cara e vecchia arma del dialogo e il gioco della conoscenza tra persone. Andare alla scoperta delle differenze che ci sono tra ognuno di noi, inteso in quanto essere umano, e quindi portatore di pregi, ma anche di grandi difetti (ammettiamolo), è un’affascinante avventura ed anche il vero modo per conoscersi e crescere, insieme.

(Photo by Tim Mossholder on Unsplash)

Articolo di Alessia Cecconi, Arianna Modafferi