Città-spugna: la città del futuro

Una della conseguenze più disastrose del cambiamento climatico sono i nubifragi e l’innalzamento del livello del mare. Troppo spesso negli ultimi anni le città sono attraversate da venti e piogge devastanti, con danni da milioni di euro. Il maltempo allaga le città, anche quelle più organizzate. Basti ricordare il nubifragio che colpì Copenaghen nel 2011, allagando la città e portando danni per oltre un miliardo di dollari. Ma non c’è bisogno di andare all’estero: il nostro Paese ogni anno è attraversato da terribili eventi che puntualmente ci trovano impreparati. Come sarebbe l’Italia senza Venezia? Abbiamo mai pensato che una delle conseguenze più catastrofiche dei cambiamenti climatici sia proprio quella di perderla? 

Una soluzione ci sarebbe: la sponge city.

L’idea nasce in Cina

È nata dalla Cina l’idea di sponge city (città-spugna), una città che, proprio come dice il nome, sarebbe in grado di assorbire acqua per riutilizzarla: la Cina, infatti, ha investito 12 miliardi di dollari per trasformare 250 città in città-spugna. L’obiettivo era molto ambizioso, dato che il governo voleva per il 2020 che il 70% dell’acqua piovana fosse assorbita e riutilizzata. Purtroppo l’emergenza Covid-19 ha fermato tutto, e ad oggi non sappiamo con precisione se l’obiettivo sia stato effettivamente raggiunto. L’architetto cinese Kongjian Yu è il pioniere di questo nuovo ambito e condivide con il mondo un messaggio chiave: il modo in cui pensiamo alle risorse d’acqua (fiumi, laghi, acqua piovana, etc..) “è totalmente sbagliato”.

“Quello che abbiamo fatto è totalmente sbagliato. […] Pensiamo che possiamo usare una diga per proteggere le città dalle inondazioni. Dobbiamo capire che queste infrastrutture in realtà uccidono la natura.” 
Kongjian Yu

Struttura di una città-spugna

Avete presente quei film che ci fanno immaginare le città del futuro, dove ci sono palazzi enormi di vetro coperti di piante e macchine che volano? Ecco, l’idea è un po’ quella, ma più ridimensionata. Anziché continuare a raccogliere in bacini di cemento le risorse idriche, dovremmo accoglierle nella città, attraverso parchi, pavimenti permeabili, palazzi coperti di verde e swales. Uno swale, secondo il modello americano, è un canale con gli argini leggermente inclinati. Se costruito artificialmente, è essenziale per gestire il deflusso di acqua e garantire che l’acqua piovana si infiltri nel sottosuolo. Ma quali sono nel dettaglio i vantaggi di una città-spugna? Come abbiamo già detto, un grande vantaggio sarebbe quello di poter raccogliere l’acqua, in modo da poter essere riutilizzata filtrandola o conservandola per un periodo di siccità. Un secondo vantaggio è quello di ridurre i danni causati da un nubifragio: se la città è concepita come un grande bacino idrico, non avrà problemi ad affrontare un’improvvisa scarica d’acqua. Infine, una sponge city è piena di verde e quindi di alberi e piante che assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno, diminuendo così lo smog e rendendo l’aria più respirabile.

Esempi dal mondo

Ad aprire la fila è Wuhan, città che conosciamo bene, ma forse per la ragione sbagliata. Con l’attuazione di 228 progetti per la trasformazione di oltre 38,5 chilometri quadrati, Wuhan è stata la prima città-spugna cinese, guadagnando questo titolo nel 2015. Sempre in Cina troviamo il progetto più all’avanguardia concepito fino ad oggi: la Liuzhou Forest City. A nord della città di Liuzhou (situata nella regione dello Guangxi) è in fase di attuazione un piano, commissionato allo studio Stefano Boeri Architetti, per costruire la prima città foresta del mondo. Ogni edificio sarà coperto da piante e alberi, in modo tale che la città possa assorbire 10mila tonnellate di CO2 all’anno; ma non solo. La città sarà completamente autosufficiente dal punto di vista energetico attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili: “a partire dall’uso della geotermia per il condizionamento degli spazi interni degli edifici e dall’ installazione diffusa sui tetti di pannelli solari a elevata efficienza per la captazione delle energie eoliche rinnovabili”.

La già citata Copenaghen ha imparato dai suoi errori molto presto, iniziando dal 2011 in poi a costruire un piano ventennale per prevenire le alluvioni, integrato con il piano per la riduzione dei gas serra: il governo ha investito oltre 1,3 miliardi di euro. Oltre a ricoprire, in alcune zone della città, l’asfalto con manti erbosi, il governo ha pensato a una soluzione per creare dei bacini per raccogliere l’acqua. Un’area della città pari a 22mila metri quadrati sarà trasformata in bacino con la capacità massima di 18mila metri cubi d’acqua. Il termine dei lavori è previsto per il 2022. Altre città europee, come Berlino e Londra, si sono indirizzate verso politiche mirate per aumentare il verde in città. Londra in particolare, con il progetto 100 Pocket Parks, vuole spargere 100 parchi in giro per la città.

E l’Italia? In Italia neanche si parla di città-spugna. Il nostro paese non sembra in grado, o non ha le forze necessarie, per pensare a un piano così rivoluzionario. Esistono dei progetti per il rischio alluvioni, ma si pensa sempre in piccolo o a posteriori: dopo l’alluvione ci si impegna per trovare i soldi per coprire i danni.

Secondo un rapporto del Consiglio nazionale dei Geologi e del Cresme pubblicato nel 2010, sono 6 milioni gli italiani che abitano nell’area di territorio italiano considerato ad elevato rischio idrogeologico; secondo il report redatto dal Ministero dell’Ambiente nel 2008, sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, di cui molte legate alla presenza di corsi d’acqua che li attraversano.

Sicuramente sia in Italia che in qualsiasi altra parte del mondo non possiamo più aspettare la prossima alluvione o il prossimo nubifragio semplicemente preparandosi al peggio. È il momento di pensare in grande e su tempi molto lunghi, mettendo da parte gli interessi economici per fare la cosa giusta. 

Fonti
Per approfondire