Preservare il mare per preservare il nostro futuro

L’acqua rappresenta il presupposto della vita e come tale deve essere difesa e salvaguardata. Gli oceani ricoprono la maggior parte della superficie terrestre (circa il 71%), rappresentano il più grande ecosistema del pianeta e la loro complessità ha garantito lo sviluppo e la crescita della vita sulla Terra. La temperatura, le correnti e le forme di vita acquatiche influenzano i sistemi globali in maniera determinante. Dal meteo fino al clima, dall’ossigeno presente nell’aria che respiriamo fino all’acqua che beviamo, tutti questi elementi sono regolati e influenzati dal mare. 

A livello globale, il valore di mercato stimato delle risorse e delle industrie marine e costiere è di tremila miliardi di dollari annui, ovvero circa il 5% del PIL globale.  Più di tre miliardi di persone dipendono dalla biodiversità marina e costiera per la loro sopravvivenza. Quasi il 7% delle proteine assunte dalla popolazione mondiale proviene dal pesce.

Nel corso della storia, gli oceani e i mari sono stati e continuano ad essere canali vitali per il commercio ed il trasporto. Una gestione responsabile di questa fondamentale risorsa globale è alla base di un futuro sostenibile. Il riferimento dell’obiettivo numero 14 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è quindi incisivo in questa direzione, in quanto si richiede la conservazione ed un uso più responsabile e durevole degli oceani, dei mari e di tutte le risorse contenute al loro interno.

Un mare di plastica

Un rapporto realizzato da Greenpeace stima che ci siano oltre 5,25 trilioni di pezzi di plastica galleggianti sugli oceani del mondo, che pesano oltre 250.000 tonnellate. Tutto questo inquinamento ha avuto un grave impatto sull’ambiente, con prove che suggeriscono persino che organismi marini fino a 10 km sotto la superficie hanno ingerito frammenti di plastica. L’infografica che segue è stata realizzata da Statista e mostra la distribuzione dell’inquinamento da plastica negli oceani del mondo. 

https://www.statista.com/chart/8616/the-worlds-oceans-are-infested-with-plastic/

Il Pacifico settentrionale ha il più alto livello di contaminazione con quasi 2 trilioni di pezzi di plastica, mentre l’Oceano Indiano è secondo con 1,3 trilioni. Sempre secondo Greenpeace, le prime 6 aziende al mondo vendono bottiglie di plastica del peso di oltre 2 milioni di tonnellate ogni anno. Nonostante il riciclaggio di questi materiali sia molto efficiente, ancora troppe unità di plastica finiscono nelle discariche e negli oceani.

La pesca insostenibile

Un’altra grave minaccia per il mare è rappresentata dalle pratiche di pesca intensiva, le quali stanno cancellando velocemente molte specie marine. Quando si pesca più velocemente della capacità dei pesci di riprodursi, è inevitabile un impatto totalmente deleterio sugli ecosistemi dei mari e degli oceani. Negli ultimi 60 anni la pesca a livello mondiale si è intensificata a tal punto che circa un terzo degli stock ittici risulta eccessivamente sfruttato: nel Mar Mediterraneo, ad esempio, si parla addirittura del 93%. 

Secondo il nuovo rapporto FAO Lo Stato Mondiale della Pesca e dell’Acquacoltura, la produzione di acquacoltura oramai rappresenta il 52% del pesce destinato al consumo umano. Questo significa che metà del pesce che arriva sulle tavole dei consumatori proviene dagli allevamenti ittici, dove il modello di produzione predominante è quello industriale e intensivo. 

Seaspiracy è un documentario distribuito da Netflix che ha recentemente riscosso molto successo. Il suo ideatore, Ali Tabrizi, ha svolto molte ricerche sul campo per portare alla luce tutte le ombre della pesca intensiva; un viaggio che parte dal sud dell’Inghilterra e arriva alle coste della Liberia, passando per il Giappone, la Thailandia, Hong Kong, con un epilogo cruento nelle isole Fær Øer, e mettendo sotto accusa l’industria della pesca nel suo complesso. Secondo il regista, queste pratiche porteranno all’estinzione della maggior parte delle specie marine entro il 2048. 

Il ruolo dell’Europa

Il 17 giugno 2008 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno emanato la Direttiva 2008/56/CE, detta anche Marine Strategy Framework Directive, che aveva come obiettivi inziali la tutela della biodiversità marina ed il raggiungimento della soglia di inquinamento zero in mare. La Direttiva si basa su un approccio integrato e si proponeva di diventare il pilastro ambientale della futura politica marittima dell’Unione Europea. Dato il carattere innovativo, pur essendo stato di recente superato il limite temporale di attuazione (inizialmente previsto per il 2020), essa è il fondamento delle attuali e future politiche per la salvaguardia degli ambienti marini.

Come già avevamo affrontato il tema in un altro articolo, il Green Deal europeo rappresenta un piano per rendere sostenibile l’economia dell’UE. L’Europa vanta una salda posizione di partenza quando si tratta di sviluppo sostenibile ed è anche fortemente impegnata, insieme ai suoi paesi membri, ad assumere il ruolo di apripista nell’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e, nello specifico, dell’obiettivo numero 14 per la conservazione dei mari e degli oceani.

E l’Italia? 

Il nostro paese si è reso protagonista di forti ritardi rispetto al recepimento della legislazione europea. Secondo il Rapporto ASviS 2020, infatti, gli stock ittici italiani sono ampiamente sovra sfruttati rispetto alla media Ue. La recente relazione sullo stato di attuazione della Marine Strategy Framework Directive, presentata dalla Commissione Europea il 25 giugno 2020, evidenzia, infatti, i ritardi nella presentazione delle relazioni previste dalla Direttiva e la carenza di molti dei dati conoscitivi. L’Italia risulta ancora tra gli Stati membri con sensibili inadempienze, nonostante la fondamentale importanza ambientale e socioeconomica che il mare riveste per il nostro Paese.

Sempre secondo il Rapporto ASviS 2020, a livello globale si segnala un aumento dell’acidità degli oceani del 10-30% rispetto al periodo 2015-2019, con gravi conseguenze sulla fauna, sulle barriere coralline e sulla flora marina. Ci sono anche dei segnali positivi fortunatamente, dal momento che si è registrato un aumento delle aree marine protette, raddoppiate rispetto al 2010.

Un cambio di passo è più che mai necessario ed ASviS ha presentato alcune proposte concrete per accelerare il processo di attuazione della legislazione europea e dell’obiettivo numero 14 dell’Agenda 2030, tra cui: 

  • Colmare i ritardi sulla Marine Strategy Framework Directive per conseguire un buono stato ecologico
  • Promuovere la piccola pesca, coinvolgendo pescatori, associazioni di categoria, istituzioni ed enti di ricerca;
  • Un approccio bottle to bottle in un’ottica di economia circolare, per la riduzione di nuova plastica per liquidi;
  • Dare riconoscimento giuridico al Piano di azione regionale della Commissione generale della pesca in Mediterraneo (organizzazione regionale che fa parte della Fao e unisce 22 Paesi tra cui l’Italia).

I’d like to be under the sea, in an octopus’s garden in the shade cantavano i Beatles negli anni 70, ed il testo, scritto da Ringo Starr, fu ispirato da una vacanza del batterista in Sardegna di qualche anno prima. Da sempre esiste un rapporto di amore e rispetto tra l’uomo ed il mare; per tenere fede a quella relazione dobbiamo agire al più presto e fare in modo che il mare ritorni ad essere vitale e sano, in modo da consentire benessere per tutti ed un domani votato alla sostenibilità. L’acqua rappresenta la vita e come tale deve essere salvaguardata. Se preserveremo gli ecosistemi marini preserveremo anche il nostro futuro.