Salute e Benessere

 In epoca Covid l’obiettivo dell’agenda 2030 “Assicurare la salute e il benessere per tutti” risulta impellente più che mai.

Ma cosa ostacola il suo raggiungimento e perché il controllo dell’inquinamento non è alla base del diritto alla salute che il governo dovrebbe salvaguardare?

Due fronti preoccupano lo sviluppo sostenibile da qui a 10 anni: quello della mortalità (soprattutto infantile) e del peggioramento dell’ambiente in cui l’uomo cresce, da cui uscirebbero impoverite e ammalate entrambe le parti.

Esiste un legame di causa effetto tra inquinamento e mortalità in cui vediamo agire aria e acqua come fattori fondamentali.

Aria: respiriamo oggi le malattie di domani

I bambini (di conseguenza anche le madri) sono più a rischio rispetto agli adulti perché l’85% degli alveoli dei polmoni si sviluppa e si moltiplica fino a ⅚ anni dopo la nascita con un rapporto di crescita che vede 50 milioni di alveoli alla nascita e circa 500 milioni a 8 anni. I polmoni dei bambini sono quindi più vulnerabili ed esposti più a lungo agli

effetti dell’inquinamento, cosa che determina patologie e debolezze fin dai primi anni di vita, senza dimenticare che i nostri genitori e nonni vivevano in condizioni di inquinamento atmosferico migliori.

Questo tipo di inquinamento colpisce bambini e madri di fasce più svantaggiate, sono circa 7 milioni le morti premature per l’inquinamento dell’aria secondo l’indagine dell’Oms del 2018.

Secondo il rapporto pubblicato dall’Oms Europa sulla salute infantile e l’ambiente, l’inquinamento atmosferico ha un’incidenza nelle malattie respiratorie che tra i minori varia in base alle diverse aree geografiche, con alcune zone dove il tasso di mortalità è anche cento volte maggiore rispetto ad altre. Le infezioni respiratorie sono maggiori nei paesi dell’Europa orientale, dove tuttavia le patologie di origine allergica non risultano altrettanto in tendenza.

Le malattie respiratorie sono dovute a infezioni, dieta, fumo, condizioni socio economiche e accesso a cure mediche svantaggiate.

Un aspetto sottovalutato è l’inquinamento indoor: il 90% dei residenti in aree urbane, tra cui i bambini, è esposto ad un livello di inquinamento atmosferico ben superiore al livello di guardia fissato dall’Oms. L’inquinamento indoor è superiore rispetto a quello outdoor per via dell’accumulo di inquinamento dell’abitazione unito a quello dell’aria

esterna. Ad esempio i bambini europei sono sottoposti al fumo passivo degli adulti nelle mura di casa, in alcuni Paesi raggiungendo l’esposizione al 90%, infatti negli obiettivi troviamo un maggiore controllo del tabacco in tutti i paesi.

Nel caso di crisi asmatiche, crescere in case umide peggiora la patologia e accade per il 15% dei giovani adulti.

Secondo la Lancet Commission on pollution and health (October 19, 2017. The Lancet,

Vol. 391, No. 10119) il 25% dei decessi nei bambini di età inferiore ai 5 anni sarebbe causato dall’esposizione ad un ambiente malsano.

Nell’europa dell’est preoccupa più l’inalazione di prodotti gassosi liberati nell’aria derivanti dalla combustione di carburanti solidi.

Nei paesi a basso e medio reddito l’inquinamento indoor è dovuto alla combustione di legna o carburante vario per il riscaldamento della casa, la cottura e l’illuminazione

sono altri due fattori che contribuiscono al peggioramento delle malattie respiratorie.

Nei paesi ad alto reddito il rischio maggiore è rappresentato dall’inquinamento atmosferico e dall’esposizione chimica a tossici e sostanze di scarto per carente pianificazione o errori.

Tutto ciò è stato confermato anche nell’edizione 2019 del congresso ERS (European Respiratory Society) tenutosi a Madrid, in cui due studi hanno puntualizzato la riduzione della funzione polmonare in età pediatrica dovuta all’inquinamento

ambientale. Gli studi additano agli agenti pollutanti NO2, PM10 e SO2 (derivanti da traffico veicolare, attività industriali, combustione di sostanze fossili ecc) un innalzamento del rischio della mortalità del 20-50% nei bambini di aree ambientali più inquinate rispetto ai residenti in aree più green.

L’esposizione al PM10 risulta preoccupante per le conseguenze sui primi tre trimestri di gravidanza.

Secondo lo State of Global Air 2020, sono stati 6,7 milioni i decessi per patologie dovute all’inquinamento atmosferico, mezzo milione di bambini morti dopo solo 30 giorni di vita. Altre problematiche dovute all’inquinamento sono parto prematuro o un basso peso alla nascita, fino alla notizia di pochi giorni fa nata dallo studio “Plasticenta: First evidence of microplastics in human placenta” di Antonio Ragusa, Alessandro Svelato, Criselda Santacroce et al, del 2020, secondo cui sarebbero state trovate per la prima volta microplastiche nella placenta umana.

Nell’immagine i valori di mortalità neonatale attribuibile all’inquinamento atmosferico

nel 2019 per zona, con India e Africa sub-sahariana come zone più a rischio, dovuto all’utilizzo di combustibili solidi per cucinare e fumi nocivi.

Acqua: in mano a pochi, bene di pochi

L’altra risorsa bistrattata, l’acqua, è uno dei fattori chiave per la morte al giorno di 2000 bambini sotto i 5 anni nei paesi poveri. I problemi strettamente legati ad essa sono la sua insalubrità, oltre a pulizia e igiene.

Le infezioni intestinali come diarrea provocano il 16% della mortalità infantile e spesso contribuiscono anche ad uno sviluppo mentale del bambino molto rallentato o danneggiato: sono infatti 900 milioni le persone che non hanno accesso a fonti d’acqua pulita e 2,6 miliardi quelli che vivono in condizioni igieniche precarie.

Secondo il rapporto dell’Oms del 2018 è il 60% delle popolazioni rurali dell’Europa orientale a non avere accesso alla rete di distribuzione idrica pubblica, il 50% ancora, vive in abitazioni non allacciate alle reti fognarie. La situazione ha portato alla morte, nel 2001, di 13.500 bambini under 14. Da non sottovalutare l’aspetto delle epidemie dovute ad acqua contaminata per guasti o prelievi eccessivi, indice di scarsa attenzione dei Paesi nei confronti della sanità.

E’ particolare il caso della coltivazione dell’avocado (il cui consumo annuale in Italia è aumentato del 261% in 4 anni) per cui la giornalista Alice Facchini in un reportage dal Cile per il giornale Internazionale, racconta “Sono anni che le piantagioni di avocado si impossessano dell’acqua che dovrebbe essere di tutti”. Nella zona l’acqua che spetta ai cittadini è portata dai camion dello Stato: 50 litri di bassa qualità pro capite al giorno, nel caso mancasse per gli ammalati non la si sottrarrebbe a quella usata per la

coltivazione dell’avocado, frutto assetato (circa 70 litri d’acqua per un singolo

avocado). 

I paesi che lo producono in maggiori quantità sono Messico, Cile, Kenya ma sono anche paesi colpiti da povertà, traffico di droga, sfruttamento del lavoro agricolo e problemi nella gestione dell’acqua potabile, spesso privatizzata e impiegata all’80% in ambito agricolo, spesso rubata con pozzi e canali illegali, causando siccità nei villaggi, specie in Messico dove i cartelli della droga si sono impossessati del nuovo oro verde.

Un altro problema sollevato da un’indagine Rai nel programma “Indovina chi viene a cena” deriva dallo stato messicano del Michoacan dove i prodotti chimici e i pesticidi utilizzati nella coltivazione dell’avocado stanno risultando altamente tossici e pur essendo vietati, sono largamente utilizzati in prodotti poi importati.

A fronte di ciò risulta evidente che le condizioni della gestione della salute siano impari, e l’ipotesi di rafforzare la prevenzione o ridurre i rischi sia fondamentale per un benessere globale, anche al fine di rompere il circolo vizioso della povertà e permettere a ogni fascia l’educazione al benessere.