Obiettivo: tasso mondiale di alfabetizzazione pari al 100%

L’importanza vitale dell’istruzione

Un’opportunità mai avuta prima

Istruire, a differenza di insegnare, non è un semplice passaggio di conoscenze da un soggetto a un altro. L’istruzione prevede che lo studente partecipi al processo cognitivo. Fin dai primi giorni su questo pianeta gli esseri umani si sono istruiti a vicenda nello svolgere un numero considerevole di mansioni volte alla sopravvivenza della specie. I nostri antenati, ad esempio, istruivano i loro figli nel semplice atto di accendere il fuoco. Ai giorni nostri la parola “istruzione” ha acquisito un concetto molto più ampio: fa ancora riferimento al fatto di far apprendere delle conoscenze che ci sono utili, ma non hanno niente a che fare con lo sfregamento di due bastoncini di legno. Nel XXI secolo non abbiamo più bisogno di tecniche basilari di sopravvivenza, ci sono le macchine che fanno queste cose per noi. Abbiamo invece bisogno di qualcosa di più sofisticato e sicuramente più complicato: capire come funziona il mondo.

L’istruzione, con la nascita delle scuole, è stata istituzionalizzata; è quindi diventata un ambito di cui lo Stato si occupa. È un termine che si accosta quasi naturalmente alla scuola. Fin da piccoli siamo catapultati in queste strutture dove abbiamo i primi rapporti sociali e i primi incontri con la scrittura. Leggere e scrivere è tanto importante quanto lo era il fuoco per i primi esseri umani. L’importanza di questi due aspetti è data dalla fatto che rendono possibile la comunicazione in qualsiasi parte del mondo. È un’opportunità che l’umanità non aveva mai avuto. Purtroppo però la scrittura non è un dono naturale, deve essere insegnata. L’alfabetizzazione è fondamentale  nella formazione di una classe dirigente qualificata, perché garantisce lo sviluppo economico e sociale di un paese. L’obiettivo sarebbe quello di avere una popolazione mondiale pienamente alfabetizzata. 

A che punto siamo?

Nel quarto obiettivo dell’Agenda 2030 si legge: “Entro il 2030, assicurarsi che tutti i giovani e una parte sostanziale di adulti, uomini e donne, raggiungano l’alfabetizzazione e l’abilità di calcolo” . Secondo il rapporto Unesco del 2017 nel mondo solo il 10% dei giovani non sanno né leggere né scrivere. Mentre per quanto riguarda gli adulti sono ancora 750 milioni gli analfabeti. L’analfabetismo, secondo il rapporto, colpisce di più le donne e i paesi poveri. Negli ultimi in particolare, secondo il rapporto, i ricchi hanno nove volte in più la possibilità di finire la scuola secondaria di secondo grado rispetto ai poveri. Ovviamente ci sono stati dei miglioramenti, e questi sono innegabilmente apportati dalla scuola.

L’istruzione in Italia

In Italia all’inizio del ‘900 una grande percentuale della popolazione era analfabeta. Consultando le Serie Storiche fornite dall’Istat, nel 1921 il 16,2% delle coppie sposate non firmarono l’atto di matrimonio perché non sapevano scrivere. Nel 1965, ultimo anno del censimento, la percentuale è scesa a 0,3%. Le varie leggi introdotte nel nostro paese per sancire l’obbligatorietà della scuola vanno di pari passo con il crollo del tasso di analfabetismo. L’obbligo a due anni di scuola nel 1859 diventano tre con la legge Coppino del 1877. Arriviamo a cinque anni con la legge Orlando del 1904. Gentile nel 1923 alza l’obbligo ai 14 anni. Nella Costituzione viene introdotto l’obbligo scolastico gratuito di otto anni con l’articolo 34. La riforma della scuola media unica del 1963 dà il colpo di grazia, seguito poi dall’obbligo fino ai 16 anni ancora oggi in vigore. 

Tuttavia queste leggi non hanno avuto il risultato sperato. Secondo i dati Istat del 2019, solo il 62,2% degli italiani tra i 25 e i 64 anni hanno almeno un titolo di studio secondario superiore. La media europea è pari al 78,7%. Siamo tra gli ultimi in Europa, dopo di noi ci sono solo Malta, Portogallo e Spagna. Non sono necessarie le percentuali per renderci conto del problema. Basta guardare a come il sistema scolastico ha reagito all’emergenza causata dal Covid-19: un sistema che già stava imbarcando acqua si è trovato del tutto sommerso. Ma non è colpa del Covid, anzi, è stato a causa dell’emergenza sanitaria che sono venuti a galla problemi che troppo spesso vengono ignorati. Dopo la crisi del 2008 il nostro paese ha progressivamente tagliato i fondi per l’istruzione (e la sanità). A ogni cambio di governo studenti e studentesse scendono in piazza per protestare contro il ministro dell’istruzione vigente. Sui social è normale ormai parlare di quanto la scuola italiana sia “tossica”: ore di lezioni per farci imparare interi argomenti a memoria; il valore della conoscenza è dato da compiti scritti o orali, che spesso si sovrappongono; i compiti a casa sono soffocanti; interminabili programmi di qualsiasi materia che non vengono finiti neanche per miracolo. Questo porta irrimediabilmente a non fare 5 o 6 ore di scuola, ma a stare tutto il giorno sui libri. L’aspetto artistico e creativo di alunni e alunne viene messo da parte, “non serve a niente”. Ed è così che le giovani menti del futuro si stancano di fare la scuola e la lasciano appena finiti gli anni di obbligo. Quella stessa scuola che dovrebbe insegnarci a capire il mondo. 

C’è chi vorrebbe cambiare i programmi scolastici, chi invece vorrebbe ricostruire il sistema scolastico da zero, chi invece sostiene che l’Italia dovrebbe andare fiera delle sue scuole. L’unica cosa sicura è che se l’istruzione non sarà al centro dei programmi politici dei governi per migliorarla, e non per tagliarle i fondi, presto saremo i più ignoranti d’Europa.

L’istruzione è un valore sociale e politico

Per quanto il nostro sistema scolastico possa essere criticato, la Costituzione stessa sancisce il dovere e il diritto di saper leggere e scrivere. Purtroppo, come abbiamo visto, non tutti hanno questa fortuna. L’istruzione è stata inserita tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 perché è di vitale importanza.

 Ci siamo soffermati sull’alfabetizzazione, ma dobbiamo anche andare oltre il semplice leggere e scrivere, se parliamo dell’obiettivo “Istruzione di qualità”: “Entro il 2030, aumentare sostanzialmente il numero di giovani e adulti che abbiano le competenze necessarie, incluse le competenze tecniche e professionali, per l’occupazione, per lavori dignitosi e per la capacità imprenditoriale”. Una buona istruzione, infatti, apre le porte a un lavoro dignitoso e permette (almeno in teoria) di poter salire, se lo si desidera, la scivolosa scala sociale.  L’istruzione è infine fondamentale per lo sviluppo di cittadini in grado di partecipare attivamente alla vita politica, migliorando così il proprio paese.

Per quanto quindi possa essere difficile, ci auguriamo che entro il 2030 quel cospicuo 10% di giovani possa imparare a leggere e scrivere, avendo anche la possibilità di continuare con gli studi se lo desiderano. Per gli adulti si è raggiunto un buon risultato, ma si può fare di meglio. Il migliore degli scenari sarà un tasso di alfabetizzazione mondiale pari al 100%. 


Per approfondire

Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia minacciato dal Deposito Nazionale di rifiuti radioattivi

Gli esseri umani sono ormai abituati a produrre rifiuti di ogni genere. 

Tra i più pericolosi per la salute e l’ambiente ci sono quelli radioattivi. Purtroppo ancora molte attività umane ne producono in grosse quantità; l’Italia, come altri Paesi, ha urgentemente bisogno di una soluzione definitiva al problema.

La Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee

La SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari) è la società incaricata di trovare un luogo adatto in cui poter costruire il Deposito Nazionale, ovvero un’infrastruttura per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività (quei rifiuti la cui radioattività decade dopo 300 anni). Insieme al Deposito Nazionale verrà costruito anche un centro di ricerca: il Parco Tecnologico. In totale la superficie occupata sarà di circa 150 ettari.
Per adempiere a questo compito, la SOGIN ha pubblicato il 5 Gennaio scorso la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI), individuando 67 luoghi idonei sparsi per sette regioni.
Con la pubblicazione della CNAPI si apre una nuova fase, quella della consultazione pubblica: ogni cittadino ha 60 giorni per poter presentare le proprie proposte, osservazioni o obiezioni. Durante questa fase si potranno escludere delle aree o modificare quelle presenti nella CNAPI.

Secondo quali criteri sono stati individuati i luoghi potenzialmente idonei?

Le aree idonee sono state individuate basandosi sui criteri stilati dall’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione (ISIN). Nella guida tecnica n. 29 l’ISIN indica tutti i requisiti che le aree potenzialmente idonee devono avere; tali requisiti sono stati posti a loro volta dalle Linee Guida IAEA (International Atomic Energy Agency). In particolare l’analisi si è basata su 15 Criteri di Esclusione (CE) stilati dall’ISIN, con cui sono state escluse tutte quelle aree in cui un deposito radioattivo sarebbe impraticabile. Ad esempio sono state escluse le aree vulcaniche attive e quiescenti o le aree contrassegnate da sismicità elevata (tutti i criteri sono presenti della guida di SOGIN intitolata “Basi teoriche e modalità di applicazione dei criteri per la realizzazione della CNAPI” (la guida è stata caricata sul drive). Inoltre, basandosi sui 13 Criteri di Approfondimento (CA) stilati sempre dall’ISIN, sono state valutate dettagliatamente le aree non escluse dai 15 criteri sopra citati. 

In viola le aree idonee individuate dalla società SOGIN. Immagine pubblicata sul sito della società
 Fonte: Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (depositonazionale.it)

Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia

Immagine presa da Google Maps

Tra le aree individuate come potenzialmente idonee è presente il Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Il Parco è stato istituito nel 2004 ed è situato in Puglia e vanta un’estensione tale da comprendere al suo interno tredici comuni. Il territorio offre un’ampia gamma di paesaggi: da cavità carsiche a boschi di conifere, passando per gli edifici creati dall’uomo, come masserie e chiesette. Il Parco si allaccia anche a importanti siti storici: in questi luoghi infatti si narra la storia dei dinosauri che percorsero queste terre o di antichi uomini che vivevano nelle grotte presenti sul territorio. Oltre a essere uno dei parchi nazionali più importanti, è candidato come Geoparco UNESCO, per la singolarità e l’importanza del valore geologico che possiede. 

Come hanno reagito i diretti interessati?

Il giorno della pubblicazione della CNAPI il presidente del Parco, Francesco Tarantini, ha dichiarato: “Il nostro è un Parco nazionale compreso in una ZSC, una Zona Speciale di Conservazione della Rete Natura 2000 volta a tutelare gli habitat e le specie protette. Il suo patrimonio naturalistico, geologico, culturale ed enogastronomico è incompatibile con il deposito di materiale radioattivo […].”

Anche il Presidente della Puglia, Michele Emiliano, ribadisce in un post su Facebook che il modello di sviluppo che segue la regione, dettato dalla tutela dell’ambiente, non può convivere con un deposito di rifiuti radioattivi.

A cosa serve un Deposito Nazionale?

È indispensabile costruire un Deposito Nazionale? Purtroppo le nostre società si basano ancora su fonti di energia non rinnovabili, i cui rifiuti risultano essere spesso pericolosi per la salute e l’ambiente.
I rifiuti radioattivi provengono dallo smantellamento degli impianti nucleari, oppure dal settore sanitario. La direttiva 2011/70 dell’Unione Europea prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nel Paese in cui sono stati prodotti. Altri Paesi europei si sono già dotati (o lo stanno facendo) di depositi per smaltire i rifiuti radioattivi. Inoltre, oltre ad ospitare i rifiuti già presenti nel nostro paese, sarà anche in grado di ospitare rifiuti radioattivi che verranno prodotti in futuro.
Il Deposito è sicuro, assicura SOGIN, e non rilascerà nessun tipo di radioattività grazie a un sistema multi-barriera che garantirà il totale isolamento dei rifiuti durante il loro smaltimento. Anche l’ambiente che lo circonda sarà continuamente monitorato.

Per quanto possa essere sicuro, un Parco Nazionale come quello dell’Alta Murgia, che è compreso in una Zona Speciale di Conservazione della Rete Natura 2000, candidato all’UNESCO come Geoparco, famoso per la sua attenzione allo sviluppo di un ambiente sostenibile e per la sua biodiversità, non è forse il luogo più adatto. Il Parco è anche un importante sito turistico, dato che è possibile visitarlo seguendo diversi itinerari. La collocazione di un deposito di scorie radioattive solleverebbe non poche polemiche tra i frequentatori del Parco.
Il 9 Gennaio scorso si si sono riuniti online i tredici sindaci dei Comuni del Parco. Convocati dal presidente Francesco Tarantini, per esprimere il loro dissenso alla costruzione del Deposito Nazionale sul proprio territorio con motivazioni tecniche e scientifiche, sostenuti anche dall’Università di Bari.
Dovremo aspettare la scadenza dei 60 giorni di consultazione pubblica per vedere come andrà a finire, sperando che il Parco Nazionale dell’Alta Murgia possa continuare a prosperare senza essere ospite di alcun rifiuto radioattivo.

Per approfondire:

Salute e Benessere

 In epoca Covid l’obiettivo dell’agenda 2030 “Assicurare la salute e il benessere per tutti” risulta impellente più che mai.

Ma cosa ostacola il suo raggiungimento e perché il controllo dell’inquinamento non è alla base del diritto alla salute che il governo dovrebbe salvaguardare?

Due fronti preoccupano lo sviluppo sostenibile da qui a 10 anni: quello della mortalità (soprattutto infantile) e del peggioramento dell’ambiente in cui l’uomo cresce, da cui uscirebbero impoverite e ammalate entrambe le parti.

Esiste un legame di causa effetto tra inquinamento e mortalità in cui vediamo agire aria e acqua come fattori fondamentali.

Aria: respiriamo oggi le malattie di domani

I bambini (di conseguenza anche le madri) sono più a rischio rispetto agli adulti perché l’85% degli alveoli dei polmoni si sviluppa e si moltiplica fino a ⅚ anni dopo la nascita con un rapporto di crescita che vede 50 milioni di alveoli alla nascita e circa 500 milioni a 8 anni. I polmoni dei bambini sono quindi più vulnerabili ed esposti più a lungo agli

effetti dell’inquinamento, cosa che determina patologie e debolezze fin dai primi anni di vita, senza dimenticare che i nostri genitori e nonni vivevano in condizioni di inquinamento atmosferico migliori.

Questo tipo di inquinamento colpisce bambini e madri di fasce più svantaggiate, sono circa 7 milioni le morti premature per l’inquinamento dell’aria secondo l’indagine dell’Oms del 2018.

Secondo il rapporto pubblicato dall’Oms Europa sulla salute infantile e l’ambiente, l’inquinamento atmosferico ha un’incidenza nelle malattie respiratorie che tra i minori varia in base alle diverse aree geografiche, con alcune zone dove il tasso di mortalità è anche cento volte maggiore rispetto ad altre. Le infezioni respiratorie sono maggiori nei paesi dell’Europa orientale, dove tuttavia le patologie di origine allergica non risultano altrettanto in tendenza.

Le malattie respiratorie sono dovute a infezioni, dieta, fumo, condizioni socio economiche e accesso a cure mediche svantaggiate.

Un aspetto sottovalutato è l’inquinamento indoor: il 90% dei residenti in aree urbane, tra cui i bambini, è esposto ad un livello di inquinamento atmosferico ben superiore al livello di guardia fissato dall’Oms. L’inquinamento indoor è superiore rispetto a quello outdoor per via dell’accumulo di inquinamento dell’abitazione unito a quello dell’aria

esterna. Ad esempio i bambini europei sono sottoposti al fumo passivo degli adulti nelle mura di casa, in alcuni Paesi raggiungendo l’esposizione al 90%, infatti negli obiettivi troviamo un maggiore controllo del tabacco in tutti i paesi.

Nel caso di crisi asmatiche, crescere in case umide peggiora la patologia e accade per il 15% dei giovani adulti.

Secondo la Lancet Commission on pollution and health (October 19, 2017. The Lancet,

Vol. 391, No. 10119) il 25% dei decessi nei bambini di età inferiore ai 5 anni sarebbe causato dall’esposizione ad un ambiente malsano.

Nell’europa dell’est preoccupa più l’inalazione di prodotti gassosi liberati nell’aria derivanti dalla combustione di carburanti solidi.

Nei paesi a basso e medio reddito l’inquinamento indoor è dovuto alla combustione di legna o carburante vario per il riscaldamento della casa, la cottura e l’illuminazione

sono altri due fattori che contribuiscono al peggioramento delle malattie respiratorie.

Nei paesi ad alto reddito il rischio maggiore è rappresentato dall’inquinamento atmosferico e dall’esposizione chimica a tossici e sostanze di scarto per carente pianificazione o errori.

Tutto ciò è stato confermato anche nell’edizione 2019 del congresso ERS (European Respiratory Society) tenutosi a Madrid, in cui due studi hanno puntualizzato la riduzione della funzione polmonare in età pediatrica dovuta all’inquinamento

ambientale. Gli studi additano agli agenti pollutanti NO2, PM10 e SO2 (derivanti da traffico veicolare, attività industriali, combustione di sostanze fossili ecc) un innalzamento del rischio della mortalità del 20-50% nei bambini di aree ambientali più inquinate rispetto ai residenti in aree più green.

L’esposizione al PM10 risulta preoccupante per le conseguenze sui primi tre trimestri di gravidanza.

Secondo lo State of Global Air 2020, sono stati 6,7 milioni i decessi per patologie dovute all’inquinamento atmosferico, mezzo milione di bambini morti dopo solo 30 giorni di vita. Altre problematiche dovute all’inquinamento sono parto prematuro o un basso peso alla nascita, fino alla notizia di pochi giorni fa nata dallo studio “Plasticenta: First evidence of microplastics in human placenta” di Antonio Ragusa, Alessandro Svelato, Criselda Santacroce et al, del 2020, secondo cui sarebbero state trovate per la prima volta microplastiche nella placenta umana.

Nell’immagine i valori di mortalità neonatale attribuibile all’inquinamento atmosferico

nel 2019 per zona, con India e Africa sub-sahariana come zone più a rischio, dovuto all’utilizzo di combustibili solidi per cucinare e fumi nocivi.

Acqua: in mano a pochi, bene di pochi

L’altra risorsa bistrattata, l’acqua, è uno dei fattori chiave per la morte al giorno di 2000 bambini sotto i 5 anni nei paesi poveri. I problemi strettamente legati ad essa sono la sua insalubrità, oltre a pulizia e igiene.

Le infezioni intestinali come diarrea provocano il 16% della mortalità infantile e spesso contribuiscono anche ad uno sviluppo mentale del bambino molto rallentato o danneggiato: sono infatti 900 milioni le persone che non hanno accesso a fonti d’acqua pulita e 2,6 miliardi quelli che vivono in condizioni igieniche precarie.

Secondo il rapporto dell’Oms del 2018 è il 60% delle popolazioni rurali dell’Europa orientale a non avere accesso alla rete di distribuzione idrica pubblica, il 50% ancora, vive in abitazioni non allacciate alle reti fognarie. La situazione ha portato alla morte, nel 2001, di 13.500 bambini under 14. Da non sottovalutare l’aspetto delle epidemie dovute ad acqua contaminata per guasti o prelievi eccessivi, indice di scarsa attenzione dei Paesi nei confronti della sanità.

E’ particolare il caso della coltivazione dell’avocado (il cui consumo annuale in Italia è aumentato del 261% in 4 anni) per cui la giornalista Alice Facchini in un reportage dal Cile per il giornale Internazionale, racconta “Sono anni che le piantagioni di avocado si impossessano dell’acqua che dovrebbe essere di tutti”. Nella zona l’acqua che spetta ai cittadini è portata dai camion dello Stato: 50 litri di bassa qualità pro capite al giorno, nel caso mancasse per gli ammalati non la si sottrarrebbe a quella usata per la

coltivazione dell’avocado, frutto assetato (circa 70 litri d’acqua per un singolo

avocado). 

I paesi che lo producono in maggiori quantità sono Messico, Cile, Kenya ma sono anche paesi colpiti da povertà, traffico di droga, sfruttamento del lavoro agricolo e problemi nella gestione dell’acqua potabile, spesso privatizzata e impiegata all’80% in ambito agricolo, spesso rubata con pozzi e canali illegali, causando siccità nei villaggi, specie in Messico dove i cartelli della droga si sono impossessati del nuovo oro verde.

Un altro problema sollevato da un’indagine Rai nel programma “Indovina chi viene a cena” deriva dallo stato messicano del Michoacan dove i prodotti chimici e i pesticidi utilizzati nella coltivazione dell’avocado stanno risultando altamente tossici e pur essendo vietati, sono largamente utilizzati in prodotti poi importati.

A fronte di ciò risulta evidente che le condizioni della gestione della salute siano impari, e l’ipotesi di rafforzare la prevenzione o ridurre i rischi sia fondamentale per un benessere globale, anche al fine di rompere il circolo vizioso della povertà e permettere a ogni fascia l’educazione al benessere.

Intervista a Ugo Biggeri

foto da Banca Etica

Dopo aver ottenuto una laurea in Fisica, Ugo Biggeri consegue il Dottorato in Ingegneria elettronica e ottiene il titolo di perfezionamento in “Gestione ambientale e sviluppo sostenibile” presso l’Università di Trento. Dal 1993 al 2001 è ricercatore e tutor della facoltà di ingegneria di Firenze.

Dal 2009 è docente presso l’Università di Firenze, in varie modalità, per il corso di laurea in sviluppo economico e cooperazione internazionale, e dal 2017 è titolare di un laboratorio sulla finanza etica e microcredito nel corso di laurea magistrale della facoltà economia della LUISS “Guido Carli”.

Tra i fondatori di Banca Etica ha ricoperto la carica di Consigliere di Amministrazione dal 1998 al 2007 e il ruolo di Presidente dal 2010 al 2019. Autore di libri sui temi di finanza etica, ha partecipato alla stesura di “La Fertilità del denaro”, “Il Valore dei Soldi”, “Manuale di finanza popolare” e “Dizionario microfinanza”.

Da Aprile 2011 è Presidente di Etica Sgr. Dal 2017 è consigliere della Global Alliance for Banking on Values e dal 2018 è Vice Presidente di Sharholders for Change, la rete di investitori istituzionali europei che promuove l’azionariato attivo.

È da poco uscito il suo ultimo libro, “I soldi danno la felicità: Corso semiserio di sopravvivenza finanziaria”.

Com’è iniziato il tuo interesse verso il tema della sostenibilità ambientale e sociale?

L’ interesse è cominciato per me molto presto, quando avevo 16 anni, in ambiente parrocchiale. Allora frequentavo la chiesa e sentivo forte il bisogno di tradurre in pratica ciò di cui si discuteva a scuola, perché al liceo c’era molto fervore, nonostante la scena degli anni 80 non fosse un periodo di grandissima attività politica. 

Lì, con un amico, sono entrato in una ONG, Mani Tese, che faceva volontariato sui temi delle disuguaglianze tra nord e sud del mondo, e aspetti sociali. Il tema della sostenibilità ambientale è diventato un tratto forte in seguito, perché ho studiato fisica. Quando alla fine, dopo qualche anno passato in università a fare il ricercatore, mi sono accorto che non era la mia strada, ho cominciato a fare fisica ambientale e quindi mi ha preso molto anche l’aspetto ambientale, in particolare sull’uso delle risorse e sui cambiamenti climatici.

Ad inizio anni 90 era un po’ una novità. Nonostante le difficoltà avevo trovato lavoro in una società di ingegneria ambientale però mi sono reso conto che era una strada difficile. In seguito, di sostenibilità, mi sono occupato perché ho fatto un corso di perfezionamento a Trento proprio sullo sviluppo sostenibile, intorno al 99, ma è diventato un tema fondamentale quando sono stato tra i fondatori di Banca Etica.

BE una realtà che cerca di avere obiettivi strategici, sociali e ambientali quando va a scegliere che tipo di finanziamenti o di crediti fare, e pertanto sei costretto a misurarti nella pratica di dire che cosa è o meno sostenibile.

Quali sono gli investimenti che in questo senso avete realizzato con Banca Etica?

Ad ora lavoro per Etica SGR, un fondo d’investimenti, ma su banca Etica posso dirti alcune cose.

Da sempre ha scelto di mettere tutti i finanziamenti alle persone fisiche sul sito web, cosa che non fa nessuno in Italia, per favorire la trasparenza dei suoi investimenti, e, in secondo luogo, ha scelto di escludere tantissimi settori di finanziamento e sostenere settori legati alla sostenibilità. 

In generale il 50% delle finanze sono attività no profit, quindi o cooperative sociali o associazioni, anche se c’è un buon 25% di imprese profit che però hanno delle particolari attenzioni ambientali e sociali, ad esempio agricoltura biologica piuttosto che le energie rinnovabili o innovazione. Per dirti, nel Mugello, c’è un centro di ricerca legata all’Università di Firenze sulle energie rinnovabili, di nome Re-Cord, una casa per l’Alzheimer, e varie aziende biologiche.

Poi ci sono alcuni progetti particolarmente belli legati ai terreni confiscati alla mafia, in cui si fa agricoltura biologica con cooperative sociali che coniugano tutti quanti questi aspetti.

Con Etica Sgr invece, nel campo degli investimenti, non siamo così vicini alle comunità locali perché i fondi comuni d’investimento devono investire in titoli che abbiano una quotazione giornaliera, e che siano vendibili tutti i giorni, (perché la gente deve poter rientrare tutti i giorni dei soldi che ci ha messo). Perciò si finisce per finanziare in titoli di Stato o in azioni di imprese quotate, quindi anche di grandi imprese. Ovviamente anche qui facciamo scelte ambientali forti, escludendo da 20 anni il petrolio.

Hai fatto delle scelte importanti anche nella tua vita privata in coerenza con quelle che sono le convinzioni che porti avanti, ce ne vuoi parlare?

Sì, diciamo che l’attenzione all’ambiente e al sociale è partita quando ero un adolescente, e ho avuto la fortuna di trovare una compagna che era interessata come me a queste tematiche, ovviamente l’ho trovata dove facevo volontariato (questo ha facilitato). (Ride ndr). 

Più tardi ci siamo resi conto che era un qualcosa che volevamo tenere anche in casa perché altrimenti sarebbe diventato un lavoro o un’attività extra famiglia, che poi finisce per andare in contrasto con la famiglia, quindi ci siamo portati il volontariato in casa, una scelta a volte faticosa, ma che nel nostro bilancio di quasi 30 anni di matrimonio, penso abbia avuto più ricchezza che periodi neri.

Abbiamo scelto di vivere con altre famiglie insieme e di fare attività come agricoltura biologica e di accoglienza, tutte attività che facciamo tra virgolette  nel cosiddetto tempo libero, e che sarebbero molto pesanti da fare in una famiglia da sola, ma che diventano meno totalizzanti  quando sono più famiglie che se ne occupano, basti pensare ad un esempio più banale,  se hai degli animali e se sei da solo devi essere sempre a casa, in più famiglie invece solo due giorni e mezzo a settimana, lo stesso per fare da mangiare si mangia tutti insieme. Ovviamente ti deve piacere fare queste cose altrimenti non puoi farcela, però è una scelta libera. 

Cosa pensi che le persone possano fare nel loro piccolo, e cosa pensi possa spingerle a seguire e far proprie queste tematiche? Quali sono le difficoltà che le persone incontrano in questo senso?

Quando, a volte, le persone vengono qui dove siamo ora (Colle di Vespignano, Vicchio, Mugello) vicino alla Casa di Giotto, gli faccio vedere le colline qua dietro di noi. Sono così da 1000 anni, forse di più. Se guardi nei quadri stessi del pittore le colline sono più o meno come sono ora. Chiaramente adesso c’è qualche palo della luce, qualche capannone con le mucche, ma sostanzialmente il terreno è quello da secoli, e anzi, prima erano ancora più lavorati di ora e c’erano più abitanti. Si trattava di un territorio totalmente antropizzato, ma contemporaneamente sostenibile.

Negli ultimi anni abbiamo perso tutto questo. C’è stata una diseducazione martellante, che ci ha fatto perdere tutti quegli elementi. Una parola meravigliosa del passato è parsimonia, che oggi sembra una bestemmia. Oggi regna il contrario, l’essere spreconi. Con questo però non intendo che si debba guardare al passato, perché c’è un sacco di potenzialità in più oggi per fare le scelte migliori, perciò personalmente non mi faccio prendere dallo sconforto. 

La gente vive tanto di imitazione, ha bisogno di vedere che le cose funzionano, e ci sono alcune cose che mi sembra comincino ad andare in questa direzione. Vedo mia mamma non ha mai voluto fare la raccolta differenziata, ed ora è una fanatica, ha 80 anni e per 70 anni della sua vita se ne è fregata. Adesso ha capito e una volta iniziato sono entrate le abitudini che si radicano. Lo vedo nel mio campo, che è quello del “dove si vanno a mettere i soldi”. Quando è nata Banca Etica, 25 anni fa, sembrava un’idea veramente fuori dal mondo e che a nessuno poteva interessare. 

Oggi sono i giovani il più grande fondo di investimento al mondo.

Il movimento “Fridays for Future”, che credo ci possa dare molte soddisfazioni, ma anche il fenomeno del “green washing”, dimostrano che il tema è sul tavolo e qualche anno fa non c’era, quindi sono in generale positivo, anche se si fa fatica a fare la raccolta differenziata e si continua a comprare la bottiglietta di plastica o non si va al fontanello. Ovviamente si vedono tutte queste cose, ma nel frattempo sono arrivati i sacchi biodegradabili.

Queste cose da sole non genereranno il cambiamento. Non credo che si debba colpevolizzare i cittadini che devono stare attenti a non buttare il tappino in terra perché fanno danno all’ambiente. Certamente loro non devono farlo, ma anche se tutti quanti stiamo attenti il mondo cambierà solo quando la politica metterà una carbon tax, o cambierà le regole con cui si va a produrre. Questa cosa però avverrà solo quando i cittadini lavoreranno in questo senso, perché la politica va solo nella direzione dei cittadini.  

Anche l’abolizione della schiavitù è partita con un movimento di opinione poi riuscita ad agganciare la politica, come le 40 ore di lavoro settimanali, o il diritto di voto alle donne. Sembravano cose impossibili, ma ci siamo arrivati grazie alla spinta dal basso, poi la politica ha regolamentato. Cosa è successo da quando si deve pagare di più gli operai, o da quando non ci sono più gli schiavi? È aumentata la produttività del lavoro. Il mercato si adegua, paradossalmente dei disincentivi fatti bene aiutano l’innovazione.

Per la questione climatica basti pensare anche alle elezioni USA. Biden la prima cosa che fa appena arriva è in questo senso. La scienza ha già deciso da trent’anni. Non aveva diritto politico ma probabilmente adesso sta arrivando, poi che sia efficace o meno non so dirlo, ma le questioni sociali alla fine si sono sempre compiute. 

Ovviamente dovranno essere ripensati tutti i sistemi dei trasporti, approvvigionamenti, e si sa, il mondo è un po’ altalenante, ma sono positivo.

Cosa ne pensi dell’Agenda 2030?

Vuoi che te parli in modo polemico o positivo? (Ride ndr)

In entrambi direi…

Tutto il mondo ha preso 17 obiettivi, tra cui la povertà, l’acqua pulita per tutti, la sanità ecc, e tutti questi punti si legano molto con i diritti umani.

Oggi quasi ogni azienda cerca di capire qual è l’obiettivo degli SDG che può riuscire a soddisfare, ed è una cosa molto importante, perché finora pareva che da un punto di vista economico l’unico obiettivo fosse la sostenibilità economica stessa. Tuttavia un conto è avere come obiettivo il profitto per i propri azionisti, un conto avere come obiettivo la prosperità della comunità in cui lavori, perché il mercato è più efficiente se tutti stanno bene. Ora queste due cose si possono gestire alla stessa maniera: gli SDG si infilano in questa prospettiva perché ti dicono anche se sei un’impresa ti devi occupare della prosperità per tutti, ridisegnando le tre P, “People Planet Prosperity”, invece che Profit. 

La visione polemica viene da Wolfgang Sachs. Lui parla dello sviluppo, e della divisione dei paesi tra sviluppati e non sviluppati, andando a fare anche un ragionamento storico, in cui si evidenzia come da un discorso di Truman, che subito dopo la guerra per opporsi all’idea egualitaria del blocco sovietico, lancia l’idea del sogno americano. Lo stile di vita americano è quello a cui tutto il mondo può ambire, la libertà individuale consente comunque la prosperità di tutti, e lancia così l’era dello sviluppo.

La parola sviluppo si è portata sempre dietro questa cosa, tant’è vero che c’è molta critica sul fatto che a volte si è imposto lo sviluppo, non considerando quelli che erano gli sviluppi possibili a livello locale nei paesi africani ecc…

Sachs scrive un testo in cui dice che gli SDG avrebbero dovuto chiamarsi Survivals non Sustainable, perché di questa idea iniziale dello sviluppo come un motore così che tutto il mondo potesse raggiungere uno stato di benessere, e quindi anche l’economia sarebbe stata traino per il benessere di tutti, siamo ora in una situazione in cui dobbiamo tamponare l’economia per sopravvivere.

Quindi questi diventano necessariamente obiettivi non di sviluppo ma di sopravvivenza. Cerotti che dobbiamo mettere all’economia per non mandare tutto a scatafascio. 

Io credo che abbia molte ragioni su questo. Poi bisogna necessariamente vedere anche la parte positiva, però la critica alla parola sviluppo credo debba essere considerata. 

Fame nel mondo

Verso un’agricoltura sostenibile

SDG NUMERO DUE: ZERO FAME

L’obiettivo di sviluppo sostenibile numero due “Zero Fame” si pone obiettivi ben specifici: porre fine alla fame nel mondo, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. Queste tematiche sono tutte collegate fra di loro, mirando al miglioramento del benessere di una parte sostanziale della popolazione mondiale che, purtroppo, soffre di malnutrizione. Stando all’ultimo rapporto sulla sicurezza alimentare globale “The State of Food Security and Nutrition in the World” nel 2019 quasi 690 milioni di abitanti del pianeta hanno sofferto la fame: un numero superiore di 10 milioni di unità rispetto all’anno precedente e di quasi 60 milioni in più rispetto a cinque anni fa. La situazione è in peggioramento in Sud America, nella maggior parte delle regioni dell’Africa e in Asia

LE CAUSE

Il panorama è davvero ampio, delicato e di fondamentale rilevanza, ma quali sono nello specifico le reali cause della fame nel mondo? E cosa si deve fare in questo senso per migliorare la situazione?

La trappola della povertà. Le persone che vivono in una situazione di povertà estrema non hanno la possibilità di nutrirsi.

La malnutrizione non dà alla persona le forze necessarie per lavorare e di conseguenza  non riesce così a procurarsi sostentamento. 

Mancanza d’investimenti nel settore dell’agricoltura. 
Strade in buone condizioni, strutture e magazzini, sistemi di irrigazione, macchinari: a causa della povertà, i Paesi in via di sviluppo non hanno la possibilità di investire nell’agricoltura; il costo del trasporto è eccessivo, non c’è disponibilità di acqua potabile ed ’è evidente la carenza di scorte alimentari.

Alluvioni, lunghissimi periodi di siccità, tempeste tropicali. 
Tutte queste calamità si stanno verificando con frequenza e violenza sempre maggiori, con disastrose conseguenze sui Paesi colpiti, spesso molto poveri. 

In queste condizioni il problema della fame non può fare altro che aggravarsi.

Guerre e conflitti. I rifugiati scappano da sanguinose guerre e conflitti civili, che li hanno privati di tutto: di una casa, degli affetti, di qualsiasi speranza di avere un futuro. In guerra, il cibo diventa un’arma. Spesso i soldati distruggono le scorte di cibo dei loro nemici. I campi vengono cosparsi di mine e le fonti d’acqua inquinate.

Instabilità dei mercati. Soprattutto negli ultimi decenni, il prezzo del cibo è stato molto instabile. Questo fa in modo che i Paesi più poveri non riescano ad avere accesso al cibo durante tutto l’anno ma solo quando il costo è più basso. Quando il prezzo si alza troppo, le persone mangiano cibi più economici e meno nutrienti. In molti casi, non riescono proprio a procurarseli.

Spreco di cibo. Un terzo di tutto il cibo prodotto a livello mondiale (circa 1,3 miliardi di tonnellate) non viene consumato. Questo spreco è una mancata opportunità per combattere il problema della nutrizione, in un mondo dove una persona su otto soffre di fame cronica.

Il panorama è complesso ma anche se può sembrare difficile, per ogni problematica elencata esiste una strada possibile da intraprendere per cercare di raggiungere entro il 2030 l’obiettivo numero 2. 

ALCUNE SOLUZIONI

  • Fornire acqua, mezzi e semi ai contadini;
  • Incrementare gli investimenti nell’agricoltura;
  • Fare in modo che i Paesi colpiti da alluvioni e siccità possano fronteggiare tali emergenze;
  • Assistere i rifugiati e investire nel Terzo Settore;
  • Fornire cibo ai Paesi più poveri a un prezzo equo;
  • Ridurre drasticamente gli sprechi alimentari;

VERSO UN’AGRICOLTURA SOSTENIBILE

In generale, in una prospettiva di lungo periodo, la reale soluzione a queste problematiche è quella di favorire una crescita dei paesi in difficoltà che sia il più possibile orientata verso la sostenibilità. In questo senso un esempio calzante, in funzione della morfologia del territorio e del clima di questi paesi, è quello dell’Agricoltura Sostenibile, che non a caso rientra tra i punti elencati dall’ SDG numero 2. 

Il concetto di Agricoltura Sostenibile è molto ampio e complesso.

Dal punto di vista ambientale si intende un’agricoltura rispettosa delle risorse naturali,  quali acqua, fertilità del suolo, biodiversità, e che non utilizzi sostanze chimiche inquinanti.

IRRIGAZIONE A GOCCIA A ENERGIA SOLARE

Un’interessante applicazione è l’irrigazione a goccia alimentata ad energia solareQuesta tecnica indirizza l’acqua solo dove e quando serve. Secondo fonti FAO, in diversi Paesi, i risultati ottenuti già qualche anno fa dimostrano che i coltivatori passati dall’irrigazione con impianti a pioggia a sistemi a goccia hanno ridotto il loro consumo d’acqua dal 30 al 60%. Somministrando lentamente acqua alla pianta, depositandosi sulla superficie del terreno contigua alla zona della radice, si riduce l’evapotraspirazione e il drenaggio in profondità, ottenendo così un buon risparmio idrico.

Per esempio, l’Africa subsahariana e l’America Latina hanno un dispiegamento relativamente basso di irrigazione sui terreni coltivati, e dunque in queste zone con questi sistemi si potrebbero ottenere notevoli guadagni. Inoltre, pannelli solari producono energia anche in periodi in cui non è necessaria alcuna irrigazione, aprendo importanti opportunità per gestire risaie, mulini, depuratori d’acqua e celle frigorifere, contribuendo allo sviluppo del paese.

Tuttavia, un sondaggio tra esperti tecnici di 25 paesi, suggerisce che mentre tre quarti delle nazioni hanno programmi e politiche governative per promuovere l’irrigazione su piccola scala, meno della metà ha regolamenti specifici per limitare l’estrazione delle acque freatiche per tali scopi. 

Come suggerisce la FAO è fondamentale garantire che l’acqua non venga prelevata senza un adeguato piano di gestione.In conclusione, indipendentemente dalla soluzione  proposta,  è necessario un impegno congiunto della maggior parte dei paesi sviluppati, i quali devono collaborare ed investire risorse per dare un aiuto reale ai paesi in difficoltà, contribuendo così a combattere la fame. 

Joe Biden, verso il rinnovo degli Stati Uniti d’America

Il cambio di rotta

Il periodo da molti considerato come il “malgoverno di Trump” è finito. 

Nonostante l’amministrazione dell’ex-presidente abbia portato avanti alcuni tagli sulle tasse, ha completamente lasciato andare il problema della pandemia, incrinato i rapporti internazionali e bloccato lo sviluppo sostenibile per ridurre l’inquinamento.

Con il nuovo presidente Joseph Robinette Biden Jr. molte cose cambieranno, sotto tutti i fronti.

Sin dalla   campagna elettorale infatti ha sempre portato avanti idee diverse rispetto a quelle di Trump, cercando di proporre politiche di sviluppo molto più similari a quelle di Barack Obama, azioni più moderate che mirano ad uno sviluppo più sostenibile. 

Una somiglianza questa che deriva dalla passata nomina di Joe Biden come Vice Presidente durante, appunto, la presidenza Obama. Quest’esperienza fa ben sperare che l’attuale presidente, avendo già vissuto nella Casa Bianca potrà lavorare con più consapevolezza rispetto a ciò che è stato fatto nei precedenti quattro anni.

I principali fronti su cui sono previsti cambiamenti radicali da parte dell’attuale amministrazione riguardano la gestione della pandemia, il ripristino delle politiche di Obama, le relazioni internazionali e il rapporto con l’ambiente.

Una pandemia da abbattere

Il virus sta dilagando negli Stati Uniti, mentre le misure per contenere l’emergenza sanitaria sono state quasi del tutto inesistenti. Addirittura negli ultimi mesi della presidenza di Trump era stata portata avanti una campagna per scoraggiare l’utilizzo delle mascherine. 

Dato un elevatissimo numero di contagi e di decessi (a dicembre gli USA erano al primo posto in classifica mondiale per contagi da Covid-19), il primo passo da fare per Joe Biden sarà quello di gestire la pandemia, adottando misure drastiche per contenere il diffondersi della malattia. 

Il piano proposto dall’attuale amministrazione riguarda:

  • obbligo nazionale di indossare la mascherina;
  • tracciare il più possibile l’espansione del virus, aumentando vertiginosamente il numero dei tamponi effettuati;
  • rendere più accessibili le cure specifiche per il Covid-19, impedendo alle compagnie assicurative di aggiungere costi extra per questo tipo di terapie;
  • concedere finanziamenti a fondo perduto alle famiglie più colpite dalla pandemia.

Il ripristino delle politiche nazionali

Come accennato all’inizio, una priorità fondamentale dell’amministrazione Biden sarà quella di portare avanti alcune delle importanti azioni su cui la presidenza Obama aveva lavorato, molte delle quali sono state bloccate o smantellate negli ultimi quattro anni.

Prima fra tutte potrebbe essere l’Affordable Care Act, la riforma sanitaria su cui lo stesso Joe Biden aveva lavorato quando era Vice Presidente.

Anche l’educazione sarà un elemento di svolta. 

Il piano della nuova Presidenza prevede di rendere gratuito l’accesso a college e università pubbliche per i membri di nuclei familiari con un reddito inferiore ai 125 mila dollari. E’ stata più volte espressa anche la volontà di abolire il bando a chi arriva da alcuni Paesi a maggioranza musulmana. 

Le relazioni internazionali 

Anche su questo fronte l’amministrazione di Biden ha più volte fatto riferimento ad un cambio di rotta, in campagna elettorale, infatti, Trump è stato ripetutamente accusato di aver isolato gli Stati Uniti nelle relazioni internazionali.

Per questo la nuova presidenza vedrà fra i primi obiettivi quello di ripristinare gli accordi di Parigi sul clima, trattati da cui Trump si era ritirato, e verranno inoltre ripresi gli ormai abbandonati negoziati sul nucleare in Iran. 

Un altro punto fondamentale, com’è stato evidenziato più volte, sarà quello di ritornare alla concessione di finanziamenti alla World Health Organization, soprattutto in tempi come questi.

Il rapporto con l’ambiente

Se fino ad oggi gli investimenti sui combustibili fossili sono stati incentivati per raggiungere il così detto predominio energetico, dal prossimo anno Joe Biden ha in mente di raggiungere lo stesso obiettivo tramite energie rinnovabili, rientrando nell’accordo di Parigi ed azzerando le emissioni di gas serra entro il 2050.

Cosa cambierà con Joe Biden?

  1. Investimenti sull’energia eolica offshore. Gli impianti eolici principali si trovano in Florida e in Virginia, a cui l’amministrazione Biden ha intenzione di dare supporto, contrariamente a quanto era stato fatto con Trump, che ne aveva ritardato i processi autorizzativi;
  2. Limitazioni per petrolio e gas. L’intenzione principale è quella di interrompere la vendita di nuovi contratti per lo sviluppo di risorse petrolifere e di gasdotti sulle terre e sulle acque pubbliche. Un’azione che, secondo gli esperti, avrà una ricaduta principalmente sull’estrazione offshore piuttosto che su quella onshore;
  3. Maggiori difficoltà per progetti infrastrutturali. Il trasporto e la produzione di petrolio e gas saranno sottoposti a processi di autorizzazione più complicati ed attenti agli impatti ambientali;
  4. Più veicoli elettrici. Verranno incentivate le produzioni di veicoli elettrici, creando investimenti per la mobilità sostenibile;

Gli effetti sul settore del carbone

Biden vuole decarbonizzare il settore energetico entro il 2035, il rischio tuttavia è quello di effettuare una transizione verso l’energia pulita troppo rapida, che potrebbe causare la perdita di numerosi posti di lavoro all’interno dell’attuale settore energetico. Il processo è delicato e sarebbe necessario trasferire almeno lo stesso tasso di occupazione all’interno della produzione di energie rinnovabili, per garantire una transizione pacifica e minimizzare gli effetti collaterali.

È previsto infatti che la domanda di carbone da parte del settore elettrico continui a crescere nell’immediato futuro, per poi calare drasticamente fino al 2050.

Concludendo, i cambiamenti della nuova amministrazione saranno concreti e modificheranno la scena internazionale, si spera, in meglio, probabilmente ritornando su una linea quasi identica a quella proposta da Barack Obama.

Obiettivo 1: Sconfiggere la Povertà

Nel Settembre 2015 l’Onu sottoscrive l’Agenda 2030, un programma stilato dai 193 Paesi membri, che ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. 
L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni.

Il primo SDG (Sustainable Development Goals) è “Sconfiggere la povertà”.

Tuttavia dobbiamo chiederci, cos’è la povertà? 

Potremmo elencare i dati, dirvi che l’11% della popolazione mondiale vive con meno di 2$ al giorno. 
Potremmo spiegare che le zone con il tasso di povertà più alto sono quella Subsahariana (18,8%) e quella dell’Asia Meridionale (42,7%) e che sono quasi 1,7 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta in Italia.
Potremmo dirvi che sempre in Italia, sono 1 milione e 137 mila i minori nella stessa  condizione, mentre è pari al 26,9% l’incidenza della povertà assoluta tra i cittadini stranieri residenti.

Ad oggi la direzione scelta per risolvere questo enorme problema è sicuramente da rivedere.

La soluzione più comune è stata cercare di fornire aiuti economici, tuttavia la maggior parte di coloro che si trovano sotto la soglia di povertà non necessitano, in primo luogo, di risollevarsi tramite sostegni economici fini a se stessi, ma questi devono essere  accompagnati da un miglioramento della situazione socio-culturale, che ad oggi risulta disastrosa.

La povertà è uno stato di indigenza consistente in un livello di reddito troppo basso per permettere la soddisfazione di bisogni fondamentali in termini di mercato, nonché una inadeguata disponibilità di beni e servizi di ordine sociale, politico e culturale.

Tuttavia povertà vuol dire molte cose

La povertà è molte cose.

La povertà è una situazione che sembra talmente distante, che quando ci troviamo di fronte ad uno dei fattori che la caratterizzano non ce ne rendiamo conto.  

Disuguaglianze sociali, fame, malnutrizione, istruzione assente o non adeguata. 

Sono tutti indicatori di una situazione di povertà e la presenza di più fattori non fa altro che aumentare la gravità dell’indice assoluto.

Ogni volta che ci facciamo privare di uno di questi diritti ci avviciniamo a quella condizione. 

Ogni volta che priviamo qualcuno dei suoi diritti lo rendiamo povero.

“Se una libera società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi”. 

– John Fitzgerald Kennedy

Questa frase è estremamente rappresentante della società in cui viviamo. 

Leggendo simili parole spesso ci si sofferma sul ricordare chi fosse l’uomo che le ha  pronunciate, rimanendo assopiti in timida contemplazione di un ideale perduto nel tempo.

 La nostra società ha come tacito obiettivo il mantenimento dello status quo di una piccola parte della popolazione.

L’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Ribaltando la prospettiva, la quota di ricchezza della metà più povera dell’umanità – circa 3,8 miliardi di persone – non sfiorava nemmeno l’1%. 
Nel mondo 2.153 miliardari detenevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale. Il patrimonio delle 22 persone più facoltose era superiore alla ricchezza di tutte le donne africane. 

Se le distanze tra i livelli medi di ricchezza dei Paesi si assottigliano, la disuguaglianza di ricchezza cresce in molti Paesi

In Italia, il 10% più ricco possedeva oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero dei nostri connazionali. 
Una quota cresciuta in 20 anni del 7,6% a fronte di una riduzione del 36,6% di quella della metà più povera degli italiani.

Purtroppo tutti, consciamente o meno, sono consapevoli di questa problematica.

Se invece che osservare in modo distaccato ognuno di noi agisse nel proprio piccolo,  forse qualcosa sarebbe già cambiata.

Tutti possiamo fare la differenza nel nostro quotidiano

Aprirci al diverso, non negare aiuto a chi ne ha bisogno, seguire una politica di vita solidale e in linea con le esigenze del pianeta.

Dobbiamo tenere conto del profondo legame che ci lega in quanto esseri umani, in quanto persone.

Ricordarci che

“sconfiggere la povertà non è un atto di carità, ma un atto di giustizia”.

Nelson Mandela